AGI - Ha un profondo legame con l'Italia la città portuale ucraina di Odessa, la 'perla sul Mar Nero' sempre più nel mirino dell'offensiva russa. La sua fondazione nel 1794 fu promossa da Josè de Ribas, un napoletano di origine spagnola a cui nel 1994 è stato anche dedicato un monumento.
Fu lui a suggerire a Caterina la Grande, di cui sarebbe stato anche amante, di creare un porto commerciale nella baia naturale davanti a un forte turco. E fu guardando il cielo di Odessa e non quello di Napoli che nel 1898 Eduardo di Capua scrisse "O' sole mio", una delle più celebri canzoni partenopee di tutti i tempi.
Il nome scelto da Ribas si ispirava all'antica colonia greca di Odessos e al viaggio di Ulisse e nell'800 la città divenne una sorta di Hong Kong tricolore, un porto franco con l'italiano come lingua semi-ufficiale. Arrivarono armatori, commercianti, pasticcieri e artigiani dal Regno delle Due Sicilie e le insegne dei negozi e i nomi delle vie erano in italiano.
Nel frattempo lo stile barocco della penisola dominava le nuove costruzioni del porto zarista anche grazie all'architetto sardo Francesco Boffo, autore della celeberrima scalinata Potemkin, quella della rivolta dei marinai del 1905 raccontata dal film di Sergej Ejzentejn e resa immortale in Italia da "Il secondo tragico Fantozzi".
Verso la fine dell'800, la presenza italiana declinò a favore di quella di tedeschi, austriaci, francesi, greci ed ebrei che a Odessa erano più tollerati rispetto ad altre zone dell'impero. L'ultimo grande imprenditore dell'era zarista fu però il siciliano Arturo Anatra, proprietario della più grande compagnia di spedizioni marittime del mar Nero e fondatore di una grande fabbrica di aerei, poi cacciato dai bolscevichi che dissacrarono la sua tomba di famiglia.
Dopo la fine dell'Urss, Odessa ha attratto il turismo internazionale grazie al suo patrimonio artistico, alle spiagge e alla gastronomia. La città è rimasta sempre all'avanguardia sul piano culturale ed è la più raffinata del Paese: il suo Teatro dell'Opera Marinskij non ha mai rinunciato a un repertorio prevalentemente 'italiano'.