AGI - Era il 20 febbraio 2014: fu allora che iniziò l’invasione della Crimea da parte delle forze armate della Russia.
Fu la reazione di Mosca all’esautoramento del presidente ucraino, Viktor Janukovich, e del suo governo da parte del Parlamento ucraino in seguito alle manifestazioni dell’Euromaidan contro la svolta filorusso dell’esecutivo ucraino.
In realtà, l’occupazione vera e propria era stata preceduta dai cosiddetti ‘omini verdi’ - miliziani armati privi di insegne militari - mandati nella penisola a costituire la cosiddetta “autodifesa della Crimea”, mentre lungo le coste apparve nientemeno che la flotta del Mar Nero dell’Armata della federazione russa.
Fu dopo il 20 febbraio che alle porte di Sebastopoli comparvero i primi posti di blocco russi, accompagnati da non pochi mezzi corazzati.
Due giorni dopo, il capo del Cremlino Vladimir Putin convocò i capi dei suoi servizi di sicurezza per discutere della “liberazione” di Janukovich, sottolineando che sarebbe stato necessario “iniziare a lavorare per il ritorno della Crimea in Russia”.
Dopo alcune manifestazioni pro-russe a Sebastopoli, il 27 febbraio diverse formazioni di ‘omini verdi’ ingaggiarono una serie di conflitti a fuoco con le forze armate ucraine per poi assumere il controllo del Consiglio supremo (il Parlamento) della Crimea e poi occupando la maggior parte dei siti strategici della penisola.
Insediato un governo filo-russo, venne organizzato a tempo record un referendum sulla “autodeterminazione della Crimea”, che si concluderà con un risultato ‘bulgaro’ superiore al 95% di voti favorevoli.
Il 18 marzo 2014, infine, Mosca incorpora formalmente la Crimea e Sebastopoli come due soggetti federali della Federazione russa.
Il mondo intero protesta: l’annessione è considerata una flagrante violazione del diritto internazionale, della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina.