AGI - Putin e Lavrov, Biden e Blinken. Presidenti, ministri degli Esteri, il risiko della geopolitica. Questo dovrebbe essere il quartetto della soluzione e non della complicazione della crisi Ucraina, ma c'è qualcosa che in questa storia non funziona e si chiama proprio "diplomazia", una chiave che non apre nessuna porta, ma potrebbe spalancare il cancello di una guerra nel cuore dell'Europa.
La cronaca di queste ore è frenetica, colma di contrasti, costellata di incongruenze. Molti, troppi errori e una sintesi: tanti incontri, nessun incastro. Kant disse che "da un legno storto, come è quello di cui l'uomo è fatto, non può uscire nulla di interamente diritto". Aveva ragione, ma qui siamo all'arabesco. Che fare? In questi casi si cerca consiglio da chi nella vita è stato testimone e tessitore della diplomazia. L'ambasciatore Umberto Vattani, due volte segretario generale della Farnesina, è la figura giusta per quest'opera di ritracciamento della rotta, il capitano di lungo corso che ci aiuta a ritrovare la mappa di una storia che appare senza bussola.
Ambasciatore Vattani, cosa sta succedendo tra Biden, Putin e gli altri? I leader si parlano, si incontrano, ma si fanno passi indietro e non avanti
Per risolvere la crisi in Ucraina serve una conferenza e occorre abbandonare la formula dei vertici bilaterali, dove nessuno vuole cedere per non perdere la faccia. È inutile dire che vogliamo che i russi facciano una de-escalation, non lo faranno mai, che figura ci fanno?".
Il format degli incontri bilaterali sembra aver fallito. Come se ne esce?
Macron, Scholz, Putin e Biden sono tutti leader e chi esce con un risultato positivo mette tutti in ombra, nessuno ammette questo genere di perdite di prestigio, la vecchia diplomazia non faceva incontri bilaterali, capiva che era meglio vedersi intorno a un tavolo perché è la conferenza che ha deciso, così non c'è uno che ha ceduto o guadagnato".
Ucraina e Nato. Chi sceglie chi?
Gli americani dicono che i russi vogliono che l'Ucraina abbia uno status inferiore a quello che le spetta, un'Ucraina non sovrana, non capace di scegliere le sue alleanze, ma è un modo sbagliato di vedere le cose.
E quale sarebbe quello giusto?
L'Ucraina ha il diritto di chiedere quello che vuole, il problema è se lo ottiene o no. Per entrare nella Nato serve l'unanimità: tre Paesi - Italia, Francia e Germania - potrebbero assicurare a Putin che non accetteranno che l'Ucraina entri purché l'Ucraina abbia garanzie di sicurezza. Un modello simile alla Finlandia che è neutrale e non ha mai avuto problemi dalla Russia, anche se ora le sta venendo voglia di entrare perché la Nato è diventata uno status symbol.
I leader dunque devono per un po' uscire di scena?
Ci sono tutti gli elementi per un accordo da cui ciascuno esca bene, ma bisogna lasciar fare questo lavoro ai diplomatici, in maniera riservata. La prima lezione della diplomazia è che non puoi stravincere, se vuoi la pace devi tenere conto degli interessi degli altri.
E gli accordi di Minsk che fine fanno?
Gli accordi di Minsk non sono sufficienti a risolvere il conflitto nel Donbass, serve un modello simile a quello applicato in Alto Agide. Rispetto a questi che hanno scritto il testo di Minsk, siamo professori universitari, nell'accordo ci sono cose banali, i diplomatici sono pagati per lavorare, servono strumenti in più rispetto al passato, abbiamo la Csce che si potrebbe riunire a Vienna.
Lei ha citato l'Alto Adige non a caso, ritiene dunque che l'Italia posso svolgere un ruolo importante
Non vedo perché noi italiani dovremmo stare fuori dal negoziato. Siamo noi che abbiamo messo a punto sistemi come l'Alto Adige, a dimostrare che, dove esistono minoranze, non si può far finta che non esistano. Non si può far finta che non ci siano i russi, non si può non dar loro una scuola, o vuoi renderli i tuoi più feroci nemici?
Il premier Draghi sta preparando il suo incontro con Putin a Mosca. Ha qualche chance di successo?
Tutti questi pellegrinaggi a Mosca dove portano? È andato Macron, è andato Scholz... Draghi ha un'opportunità colossale, non si può negare che l'Italia sia sempre stata in grado di attenuare le tensioni, di cercare un modo per la convivenza, siamo quelli che hanno sempre saputo ampliare il dialogo, lo abbiamo sempre fatto
Una questione di metodo e format diplomatico. Quale?
Cosa impedisce all'Italia, avendo una personalità come Draghi - che ci invidiano tutti - di suggerire l'invio di funzionari di medio livello che si incontrano con i russi, ma non in modo bilaterale bensì in conferenza?", prosegue Vattani, "se Draghi riuscisse a trovare funzionari di medio livello che si sentono, cercano di capire cosa vogliono gli altri, le cose magari iniziano a prendere forma e mano a mano che le cose vanno avanti, si può pensare poi a qualche incontro a livello più alto, partendo dai direttori politici.
Una gradualità che finora è mancata. Come si recupera?
Bisogna aiutare i russi, gli americani e gli altri a ricominciare umilmente con la diplomazia, si inizia con un foro multilaterale - e l'Italia ci deve stare - come l'Osce, si riunisce questo gruppo, si fanno i prini 'sondaggi' sulle concessioni reciproche possibili. Draghi potrebbe fare questo: dire a Putin che francamente questa situazione nuoce a tutti, non c'è nessuno che possa rallegrarsi, siamo tutti nervosi e, in attesa, nessuno vuole perdere la faccia. Draghi può dire che nessuno vuole un conflitto, che bisogna aiutare a uscire da questa agitazione e, se siamo d'accordo per vederci, mandiamo prima i funzionari di medio livello e poi i direttori politici.
C'è poco tempo e la situazione è pericolosa
La carta importante che può giocare Draghi è quella di promuovere la strada della vecchia diplomazia che manca in tutto l'Occidente, ovvero cercare di capirsi gli uni con gli altri, altrimenti continueremo così, ma può partire sempre un colpo per errore in una situazione in cui tutto è possibile.
Anche oggi la Russia ha affermato che sono stati violati i patti, che l'Occidente non è stato di parola sull'allargamento della Nato. Come andarono le cose quando crollò il Muro?
Quando fu deciso di includere la Germania riunificata nell'Alleanza Atlantica, l'orientamento dei leader del vecchio continente - Francois Mitterrand, Giulio Andreotti, Margaret Thatcher e lo stesso Helmut Kohl - era quello di affrontare il problema della stabilità europea insieme alla Russia. Dai documenti declassificati americani, tedeschi, inglesi e francesi, è chiaro che i leader del Cremlino si videro dare una cascata di assicurazioni dagli occidentali che la Nato non si sarebbe mossa nemmeno di un dito a Est, 'not one inch eastward', per usare la formula dell'allora segretario di Stato Usa, James Baker. Sono frasi riportare nei documenti diplomatici che oggi posssiamo leggere, Baker diceva che non ci pensava nemmeno a danneggiare gli interessi sovietici e non una, ma tre volte confermò che la giurisdizione della Nato non si sarebbe mossa nemmeno di un dito a Est.
Non è andata così e oggi c'è Putin e non Gorbaciov
Le stesse assicurazioni giunsero da Thatcher, che nel giugno 1990 propose un'organizzazione più politica, un'alleanza meno minacciosa dal punto di vista militare, con la Csce come foro dove coinvolgere in pieno l'Unione Sovietica sul futuro dell'Europa. È questo che Gorbaciov e Shevardnadze si sono sentiti dire e, quando il ministro della Difesa russo, il maresciallo Jazov, chiese al successore di Thatcher, John Major, se pensava che certi Paesi europei avrebbero potuto aderire alla Nato, gli fu detto che nulla del genere sarebbe accaduto. Mitterrand diceva addirittura che bisognava smantellare la Nato, fu Andreotti che disse di volere gli americani in Europa.
Il passato è storia, il presente è cronaca. E Putin riafferma l'esistenza della sfera d'influenza della Russia. Siamo punto e a capo, come portare Mosca al tavolo?
L'apertura nei confronti della Russia fu rilanciata, 10 anni dopo, dall'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, quando al G8 del 2001 propose a Putin una partnership più stretta con l'Unione Europea e, un anno dopo, a Pratica di Mare, fece in modo che si istituisse per la prima volta il Consiglio Nato-Russia. E quel Putin che parlò con Berlusconi è lo stesso Putin di oggi.
Quale fu il fattore che accelerò l'allargamento della Nato a Est?
Fu una conseguenza dell'attacco americano all'Iraq del 2003, dopo il quale gli Usa premiarono con l'adesione all'Alleanza i Paesi dell'ex Patto di Varsavia che sostennero l'intervento per rovesciare Saddam Hussein. Se l'operazione 'Desert Storm' del 1991 avvenne con la benedizione della Russia, George W. Bush sapeva che l'intervento del 2003 non sarebbe mai riuscito ad ottenere il mandato dell'Onu" e "non avrebbe mai trovato l'appoggio della Russia. In Iraq non ci voleva andare nessuno e Bush trovò l'appoggio dei Paesi che erano stati liberati dalla pressione sovietica e lo aiutarono mandando truppe. Come compenso, sono entrati nella Nato immediatamente.
Allora non vi la reazione di oggi con l'ipotesi di un ingresso dell'Ucraina nella Nato
Quando sono entrati i Paesi baltici la Russia non ha reagito perché sono piccoli Paesi - non poteva temere nulla dall'ingresso dei baltici - ma quando nel 2008 a Bucarest ci fu la decisione della Nato di aprire a Ucraina e Georgia la reazione russa fu terribile, lo stesso anno ci fu la guerra con la Georgia e, quando ci fu un cambio di regime a Kiev e un presidente pro russo fu sostituito da uno pro americano, nel 2014 ci fu l'annessione della Crimea. Noi abbiamo fatto quello che avevamo detto che non avremmo mai fatto quando la Russia pose fine alla Guerra Fredda, la Nato non doveva estendersi fino ai confini della Russia e abbiamo fatto esattamente questo.
Qual è la dottrina di Putin?
È quella dell'ex ministro degli Esteri Evgenij Primakov, secondo il quale gli americani seguono un'agenda tutta loro che la Russia non ha alcun interesse a seguire, il mondo non è unipolare ma multipolare e Mosca deve lavorare con Cina e India per ristabilire l'equilibrio e tornare alla stabilità e, terzo criterio, la Russia deve essere più assertiva nei Paesi più vicini a lei. È questa la dottrina che sta seguendo Putin, risale a molto tempo e fa e deriva da questo atteggiamento che gli americani hanno assunto, di voler fare esattamente il contrario di quello che avevano detto l'ex presidente George H. W. Bush e il suo segretario di Stato, James Baker.