AGI - Ufficialmente il gruppo Wagner non esiste. Non c'è una sede, una registrazione, un organigramma. La presenza di questo piccolo esercito di contractor russi, molti dei quali si sono fatti le ossa nel Donbass ucraino al fianco dei separatisti, è però segnalata in sempre più scenari di crisi: Siria, Libia, Repubblica Centrafricana, Mali, per citare solo i più caldi.
Chiamata semplicemente "Compagnia" dagli ex poliziotti ed ex militari che la compongono, Wagner è ritenuta riconducibile a Evgheni Prigozhin, potente uomo d'affari soprannominato "lo chef di Putin" per le sue attività nel settore del catering e la sua vicinanza al presidente russo.
E, come altre compagnie militari private russe di fama minore, Wagner è un elemento importante della strategia internazionale russa, sebbene il Cremlino neghi qualsiasi relazione.
Mosca ha accusato gli occidentali di "isteria" in seguito alla doppia tornata di sanzioni inflitta nel 2020 a Prigozhin per le attività di Wagner in Africa. E Putin commentò le informazioni sulla presenza della "Compagnia" in Cirenaica affermando che "se anche ci fossero mercenari russi in Libia, questi non sono pagati dalla Russia e non rappresentano la Russia".
Gli analisti occidentali sono di tutt'altro avviso e ritengono che i contractor mantengano relazioni strette con esercito e servizi segreti russi in modo da consentire a Mosca di perseguire alcuni interessi senza dover rispondere delle proprie azioni.
L'obiettivo, secondo Catrina Doxee del Center for Strategic and International Studies (Csis) di Washington, è “consentire alla Russia di estendere la sua influenza geopolitica e ripristinare gli accordi ottenuti prima della caduta dell'Unione Sovietica”.
"C'è una politica africana della Russia, soprattutto nella tradizionale zona di influenza francese", conferma Djallil Lounnas, ricercatore presso l'Università marocchina di Al Akhawayn.
"La Russia non fa domande su democrazia e diritti umani", osserva Lounnas, e ciò renderebbe formazioni come Wagner l'interlocutore ideale delle autocrazie del continente. I contractor della 'Compagnia' sono infatti spesso accusati di abusi e violazioni dei diritti umani. In particolare, l'Onu sta indagando su un'operazione delle forze armate centrafricane e degli uomini di Wagner, diretta contro i ribelli, nella quale, lo scorso gennaio, avrebbero perso la vita almeno 30 civili.
Il Csis, tra il 2016 e il 2021, ha trovato "prove evidenti" della presenza di compagnie militari private russe in Sudan, Sud Sudan, Libia, Repubblica Centrafricana, Madagascar e Stati Uniti, Mozambico.
Secondo altre fonti, all'elenco dei Paesi africani coinvolti nella rete dei mercenari di Mosca si aggiungono poi Botswana, Burundi, Ciad, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Congo, Guinea, Guinea Bissau, Nigeria, Zimbabwe. E, ovviamente, il Mali, dove agirebbero 800 uomini di Wagner, sebbene la giunta militare al potere ne abbia negato il reclutamento.
Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha accusato gli uomini di Wagner nel Paese del Sahel di avere "intenti predatori". I mercenari "vengono essenzialmente per proteggere i loro interessi economici e la giunta stessa", ha detto Macron nel giorno dell'annuncio del ritiro delle forze francesi dal Mali - li considera i migliori alleati per proteggere il proprio potere".
Le compagnie militari private contribuiscono a portare a termine le vendite di armi, sostiene Doxsee, proteggono i leader locali e garantiscono la sicurezza di siti minerari molto redditizi. I clienti "sono soprattutto Paesi con grandi riserve di risorse naturali, minerali ed energetiche" delle quali non sono in grado di garantire la sicurezza in autonomia, spiega ancora la ricercatrice.
I risultati sul campo del gruppo Wagner non sarebbero però sempre all'altezza. In Libia i mercenari russi sostennero l'offensiva su Tripoli sferrata nell'estate del 2020 dal generale Khalifa Haftar ma finirono per soccombere alle milizie filoturche intervenute in soccorso del governo di unità nazionale di Fayez al-Serraj. In Mozambico i contractor di Wagner finirono per arretrare di fronte all'avanzata dell'Isis per poi essere sostituiti da reparti sudafricani.
"Non avevano esperienza del terreno incontrato" e non comunicavano con le truppe locali "per questioni di lingua e diffidenza reciproca", spiega ancora Doxsee.
"Erano i più economici ma non avevano la capacità di avere successo", prosegue la ricercatrice, enumerando "un numero considerevole di fallimenti".
Un'efficacia solo parziale che ha però una sua logica. "Se un Paese come la Repubblica Centrafricana li impiega per addestrare le sue truppe, è nel loro interesse fondamentale svolgere il loro compito quel tanto che basta per continuare ad essere impiegati”, conclude Doxsee. "Se riuscissero a risolvere il conflitto, non sarebbero più necessari".