AGI - "Abbiamo rivisto le stesse scene di 40 anni fa". C'è amarezza nella voce di Daniele Biondo, psicoanalista specializzato in bambini e adolescenti, e fino a poco tempo fa presidente del Centro Alfredo Rampi Onlus. all'AGI,
Biondo sottolinea come "gli errori commessi durante le fasi concitate del soccorso ad Alfredino li abbiamo rivisti per il piccolo Rayan". Uno su tutti, "non è stata recintata l'area intorno al pozzo", e quindi i soccorritori si sono trovati a lavorare in mezzo a gente "la cui presenza da sola costituisce una pressione psicologica che interferisce" con le esigenze di chi sta prestando la sua opera per salvare una vita umana.
"Avere gli occhi di tanti addosso mentre si lavora e si lotta contro il tempo e condizioni avverse, non aiuta", ribadisce Biondo. Anche lo strazio dei genitori del bambino di 5 anni è lo stesso di quello che nel 1981 fu registrato dalle telecamere italiane a Vermicino, "un doppio strazio per la signora Franca Rampi", assicura.
"Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci domanderemo a lungo a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi". Con queste parole, oltre 40 anni fa il giornalista Giancarlo Santalmassi durante l'edizione straordinaria del TG2 del 13 giugno 1981 annunciò il tragico epilogo della tragedia di Vermicino.
È il dramma di Alfredino, simile a quello che ha tenuto il Marocco e il mondo con il fiato sospeso per la sorte del piccolo Rayan, anche lui morto dopo 5 giorni sospesi tra angoscia e speranza.
Era la sera del 10 giugno 1981, quando il papà di Alfredino allertò le forze dell'ordine perché il figlio non era rientrato a casa. Iniziarono subito le ricerche. A mezzanotte dal pozzo artesiano un flebile voce: "Aiuto mamma" e immediatamente partirono le operazioni di soccorso.
Il pozzo in cui era caduto il bambino era profondo circa 80 metri, i soccorsi apparvero da subito molto complessi. Si tentò di tutto: prima venne calata una tavoletta di legno per consentire al piccolo di aggrapparsi ma rimase incastrata a 24 metri, poi si decise di iniziare a scavare due tunnel, uno verticale e uno orizzontale.
Alfredino riusciva a comunicare con la madre e i soccorritori, ma con le ore le sue condizioni iniziavano a peggiorare. Sul posto arrivò anche l'allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini. I tunnel furono scavati in tempi record, ma una volta giunti all'altezza in cui si sarebbe dovuto trovare il bimbo, i soccorritori si resero conto che era scivolato ulteriormente, a oltre 60 metri.
I soccorritori e l'Italia intera non si arresero e si tentò ancora: Angelo Licheri, un volontario, si calò nel pozzo, appeso a una corda, a testa in giù. Per 45 minuti parlò con Alfredino: "Gli ho pulito bocca e gli occhi dal fango" raccontò tempo dopo l'uomo. Ci ha provato in tutti i modi ma alla fine "ho dovuto arrendermi, gli ho mandato un bacio e sono tornato su".
L'ultimo disperato tentativo fu quello dello speleologo Donato Caruso che lo raggiunse senza riuscire a prenderlo. Dopo tre giorni di tentativi a vuoto, il 13 giugno, il cuore di Alfredino cessò di battere: fu recuperato dai minatori l'11 luglio successivo.