L'equilibrio di Erdogan tra Kiev e Mosca
AGI - "Bisogna assolutamente agire per evitare una guerra Russia e Ucraina". Queste le parole pronunciate dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, atteso domani nella capitale dell'Ucraina Kiev dove incontrerà il collega ucraino Volodymyr Zelensky.
La notizia del viaggio di Erdogan in Ucraina è giunta a meno di 24 dall'annuncio di una visita ufficiale in Turchia questo mese del presidente russo Vladimir Putin, invitato da Erdogan. Visita su cui ancora pende l'interrogativo della data.
"Gli ultimi sviluppi non possono che riempirci di tristezza, abbiamo ottimi rapporti sia con la Russia che con l'Ucraina. Intenzione della Turchia è contribuire a ricostituire un clima di pace, magari facendo incontrare i leader dei due Paesi, se lo volessero", ha ripetuto Erdogan nei giorni caldi della crisi al confine.
L'autocandidatura di Erdogan a mediatore della crisi cela, neanche tanto velatamente, le difficoltà del presidente turco a orientarsi in una crisi tra uno degli alleati con cui Ankara ha dialogato di più negli ultimi anni, la Russia, e un Paese che con la Turchia ha stretto significativamente i rapporti negli ultimi 3 anni, l'Ucraina.
Val la pena ricordare che Ankara è incorsa nell'ira degli Stati Uniti per aver acquistato dalla Russia il sistema di difesa missilistico s-400, su cui Erdogan nonostante anni di polemiche e pressioni della Nato non ha fatto un passo indietro.
Allo stesso tempo però la Turchia ha venduto all'Ucraina i droni armati di ultima generazione Bayraktar TB2, poi usati dall'esercito di Kiev nella crisi del Donbass. Circostanza che ha infastidito Putin non poco, anche alla luce del fatto che i droni TB2 vengono ora prodotti direttamente in Ucraina nell'ambito della collaborazione tra i due Paesi.
Le tensioni che hanno portato i carri armati russi al confine ucraino hanno spinto Erdogan a un iperattivismo sfociato nell'autocandidatura a ruolo di mediatore, anche perchè oltre ai droni, nel dossier ucraino tra Russia e Turchia pesano il riconoscimento della chiesa ortodossa ucraina, scisma avvenuto nel 2018 a Istanbul con la benedizione di Erdogan, coltre che del patriarca, e la Crimea, la cui annessione russa non è mai stata riconosciuta da Ankara, rimasta al fianco dei tartari turcofoni.
Erdogan e Putin negli ultimi anni hanno costruito intese militari, energetiche e commerciali, stretto accordi in Siria e Libia, sanato la crisi dell'aereo russo abbattuto dai turchi al confine siriano e dell'ambasciatore Karlov assassinato ad Ankara; tuttavia il nodo Ucraina rimane irrisolto e rischia di ingarbuglirsi ulteriormente domani.
Nell'agenda dell'incontro tra Erdogan e Zelensky, il sesto dal 2019, oltre a un accordo di libero scambio figurano diversi protocolli di partenariato militare e dell'industria della difesa.
Proprio la Baykar, azienda che produce droni il cui ingegnere capo, il brillante Selcuk Baykar ha sposato la figlia più giovane del presidente turco, ha mosso i primi passi per investire in Ucraina: un terreno è stato acquistato non lontano dalla base militare di Vasylkiv e una collaborazione per la fornitura di turbopropulsori è stata avviata con la ucraina Motor Sich.
Ankara si sfrega le mani all'idea di rinnovare un apparato rimasto sostanzialmente immutato dai tempi dell'Unione Sovietica; un affare che permetterebbe a Erdogan di porre rimedio alle sanzioni ricevute proprio per l'acquisto del sistema missilistico russo s-400, mentre si progetta la produzione di aerei da trasporto militare An-178 e corvette veloci per pattugliare le coste nei cantieri navali di Mykolaiv, porto ucraino del Mar Nero.
Proprio il Mar Nero è uno dei campi di gioco della crisi in corso e di rapporti tra Ankara e Mosca. Prima del 2014 era Ankara ad avere la flotta piu' consistente, 44 navi, prima della decisione di Mosca di aumentare da 26 a 49 le proprie.
È facile immaginare che la collaborazione turco-ucraina nel cantiere di Mykolaiv venga percepita come una minaccia da Mosca. Allo stesso tempo per Ankara, che nel Mar Nero ha localizzato un importante giacimento di gas, la minaccia arriva dalle precauzioni che Putin ha preso, rafforzando il contingente con sottomarini capaci di colpire bersagli a 2.400 km di distanza.
Una minaccia cui Erdogan vorrebbe far fronte spingendo l'Organizzazione per il Trattato Atlantico del Nord (OTAN) ad aumentare il contingente nel Mar Nero e allo stesso tempo sponsorizza la candidatura di Georgia e Ucraina a entrare nel trattato.
Al momento Erdogan spinge per una condanna di un eventuale intervento russo in Siria, che lo stesso presidente turco ha definito "una mossa irrazionale", ma senza sanzioni per Mosca.
Il tentativo, o meglio la volontà di agire da negoziatore di Erdogan, lo costringono a un difficile esercizio di equilibrismo diplomatico politico e tentare tutte le strade per evitare un conflitto che per la Turchia sarebbe un disastro.
Da un lato la partnership crescente con l'Ucraina e il sostegno di Erdogan a Zelensky, dall'altro gli accordi in piedi con la Russia in Siria, l'acquisto degli s-400, le centrali nucleari in costruzione da parte di Rosatom in Turchia e le forniture di gas russo che coprono il 40% del fabbisogno di Ankara.
Ankara non solo rischia che Putin chiuda i rubinetti di gas, ma anche che Mosca dia il via libera al regime di Damasco per un attacco sulla regione di Idlib, nel nord ovest della Siria, dove Erdogan ha deciso di mantenere, nonostante Putin avesse insistito per il ritiro, un contingente militare a garanzia che i bombardamenti russo siriani non causaino una crisi umanitaria che spingerebbe 3 milioni di civili verso la frontiera turca.
Una catastrofe umanitaria che Erdogan vuole evitare a tutti i costi anche in vista delle elezioni del 2023, ma che spaventa anche l'Europa. Uno dei tanti effetti collaterali del conflitto tra Russia e Ucraina, una guerra che non vuole nessuno, Erdogan su tutti.