AGI - La decisione presa dalla Corte Suprema americana sulla legge anti-abortista del Texas lascia delusi e soddisfatti in entrambi gli schieramenti. I nove giudici hanno permesso ai medici abortisti e alle cliniche di sfidare davanti a corti federali la legge che vieta l’interruzione di gravidanza dopo le prime sei settimane, ma di fatto ne riconosce la legittimità e la lascia in vigore.
I movimenti in difesa dei diritti delle donne speravano che la Corte bloccasse la legge, ritornando sui propri passi dopo la “non decisione” del 1° settembre, che aveva permesso al testo votato dai repubblicani di entrare in vigore.
Tutte le cliniche e ospedali del Texas, dove si praticava l’interruzione di gravidanza, avevano interrotto il servizio, costringendo molte donne a viaggi fuori dallo Stato per sottoporsi all'intervento.
Adesso cliniche e ospedali potranno fare ricorso a livello federale, mettendo a rischio l’applicazione della legge. Qualche giudice potrebbe accogliere l’esposto e sospendere l’attuazione del divieto in attesa di un pronunciamento.
Gli anti-abortisti, invece, speravano che non solo venisse riconfermata la legittimità della legge, ma venisse negata la possibilità di fare ricorso.
Il risultato di 1-1 tra i due schieramenti lascia tutto sospeso, in attesa di capire cosa succederà davanti ai prossimi ricorsi, che potrebbero essere numerosi.
La decisione della Corte Suprema arriva a meno di due settimane dall’udienza del caso del Mississippi che - oltre a vietare l’interruzione dopo le prime quindici settimane - ha messo in dubbio direttamente il diritto all’aborto sancito, a livello nazionale, dal 1973.
Il principio stabilisce che gli Stati non possono vietare l’aborto fino a quando il feto può sopravvivere fuori dal grembo materno. Il punto, però, è stabilire quale sia il tempo in cui questo avviene, se 23 o 24 settimane. La sentenza della Corte è attesa per fine giugno 2022.
Nel caso il diritto acquisito venisse tolto, almeno ventisei Stati sarebbero pronti a passare a leggi più restrittive.