AGI - Nell’ultimo decennio il mondo ha mostrato crescente preoccupazione per il rapido aumento dei livelli di debito accumulati in Cina, in particolar modo dal settore delle imprese non finanziarie (circa il 160% del Pil alla fine del 2020); tali timori si acutizzano inevitabilmente in presenza di segnali di rallentamento della crescita del Paese, o quando esso subisce shock di una certa rilevanza, come nel caso della crisi di Evergrande.
Il settore immobiliare cinese si trova oggi in una bolla che dura da diverso tempo, alimentata da riforme volte a stimolare sia investimenti privati nell’edilizia residenziale sia maggiore crescita economica. Queste politiche, insieme ad alcune peculiarità della domanda di abitazioni, hanno contribuito alla crescita del settore, con l’aggregato real estate e costruzioni stimato al 29% del Pil del Paese.
Nonostante le dimensioni di Evergrande (noto anche come Grande Rinoceronte Bianco) e il peso raggiunto dal settore immobiliare in Cina, la crisi dell’azienda cinese è lontana dal rappresentare il “momento Lehman” del Dragone: Evergrande non è, infatti, una società finanziaria e i suoi principali investitori istituzionali sono cinesi. La capacità di trasmissione della crisi di liquidità dal gruppo immobiliare cinese ai mercati internazionali è, dunque, molto limitata, complice anche la non completa apertura dei movimenti di capitali nel Paese.
Il rischio di un effetto domino nel property sector, tuttavia, non è da sottovalutare poiché le imprese immobiliari cinesi presentano elevati livelli di debito (in media, un rapporto passivo/attivo di circa l’80%), risultando così particolarmente vulnerabili a mutamenti della fiducia degli investitori e a strette creditizie da parte del sistema bancario.
Il caso Evergrande rappresenta un fondamentale banco di prova per la Banca Centrale e per le autorità fiscali cinesi e, più in generale, per lo stesso Xi Jinping. Se da una parte, infatti, è estremamente importante evitare un fallimento disordinato che andrebbe a impattare negativamente l’intera economia cinese, dall’altra il salvataggio pubblico del colosso immobiliare andrebbe a intensificare il problema di moral hazard che caratterizza il contesto degli investimenti in Cina e risulterebbe contrario alla campagna di redistribuzione della ricchezza portata avanti da Xi.
L’esperienza accumulata dalla Cina in questi anni nella gestione di default e ristrutturazioni di importanti controparti bancarie e immobiliari lascia credere che la crisi di Evergrande possa risolversi attraverso una dismissione ordinata dei suoi attivi, senza provocare ferite all’economia del Paese.
Ci sono però buone probabilità che lo shock causato dalla crisi del Grande Rinoceronte Bianco possa ripercuotersi, in maniera indiretta e con intensità variabile, su quei settori che supportano l’attività di sviluppo immobiliare attraverso la fornitura di materiali da costruzione, macchinari e prodotti chimici specifici, mobili e arredi. Questo presenta dei rischi per il nostro relativo export nel Paese che, nel 2019, per tali settori ha quasi raggiunto €2,2 mld (il 17% dell’intero export italiano in Cina).
Rassicurazioni per le imprese italiane che vendono in Cina arrivano comunque dalla molteplicità di destinazioni d’uso dei beni venduti, che non si limitano alla sola edilizia residenziale (ad esempio seppur facente parte del settore costruzioni, le infrastrutture presentano un elevatissimo livello di sovrapposizione per quanto riguarda macchinari e materiali utilizzati), come pure dall’elevata qualità di alcuni prodotti, come mobili e arredi, la cui domanda rimane prevalentemente slegata dalle realizzazioni del property developer medio cinese.