AGI - Sale la tensione tra le delegazioni italiane del Parlamento europeo in vista del giro di boa di metà legislatura Ue, quando vengono rinnovati tutti gli incarichi dell’Europarlamento, dagli scranni più prestigiosi alla lotta per non finire - o restare - nel limbo dei non iscritti.
La ricandidatura di David Sassoli alla presidenza dell’Aula rischia di rompere l’accordo di inizio legislatura tra i gruppi più numerosi in Parlamento: quello dei Socialisti & democratici - al quale appartiene Sassoli - e quello del Partito popolare europeo (Ppe).
La corsa per il bis dell’esponente del Partito democratico, unita alla necessità del centrosinistra italiano di rinsaldare l’alleanza giallo-rossa, potrebbe spingere S&d ad aprire le porte agli otto eurodeputati del Movimento cinque stelle. La scelta del 2019 di rompere l’alleanza con i 'brexiters' britannici di Nigel Farage aveva infatti spinto i pentastellati verso il limbo dei non iscritti.
Il gruppo misto del Parlamento europeo limita la partecipazione di chi vi appartiene: tempi di parola ridotti, esclusione dagli incarichi di rilievo a cominciare dalle presidenze di commissioni parlamentari.
Stare fuori dai gruppi vuol dire avere anche un minor budget a disposizione, che si traduce in meno personale negli uffici di Bruxelles e Strasburgo.
Il M5s aveva eletto quattordici europarlamentari nel 2019, ma sei di loro hanno poi abbandonato la delegazione: in quattro sono entrati nel gruppo dei Verdi, i due restanti in Renew Europe e nei Popolari.
Con il risultato che oggi gli eurodeputati M5s si trovano isolati nei non iscritti assieme a Francesca Donato, espulsa dalla Lega per le sue posizioni contro il Green pass e sui vaccini.
Alle indiscrezioni di questa mattina sul presunto via libera di Enrico Letta all’apparentamento Ue tra il Pd e i Cinquestelle sono seguite le prudenti dichiarazioni dei rappresentanti europei delle rispettive delegazioni, molto attenti ad evitare che la trattativa somigli a una fusione a freddo decisa a Roma dai leader delle due forze politiche.
Il ruolo decisivo dei capi partito viene riconosciuto con più trasparenza in casa Lega, dove c’è fermento in vista del possibile grande gruppo a destra del Ppe fortemente voluto da Matteo Salvini.
I leader di partito, e di Governo, più interessati all’idea sono il polacco Mateusz Morawiecki e l’ungherese Viktor Orban.
Il partito di quest’ultimo, Fidesz, è finito nel limbo dei non iscritti dopo l’espulsione dal Ppe e vorrebbe prendersi la rivincita sui popolari sia alle urne in Ungheria, dove si vota in primavera, che all’Europarlamento.
Il partito PiS (Diritto e Giustizia) di Morawiecki - il cui Governo è in rotta di collisione con Bruxelles - potrebbe superare le perplessità che finora hanno spinto i conservatori polacchi a declinare le avances su un gruppo unico con i sovranisti di Identità e Democrazia.
Resta da capire cosa vogliano fare i francesi di Rassemblement National, ora troppo impegnati con le elezioni presidenziali che vedono l’eroina della destra transalpina Marine Le Pen impegnata in un doppia sfida per la leadership sia dell’opposizione (contro Eric Zemmour) che del Governo (contro Emmanuel Macron).
E chissà se proprio il giro di boa dell’Europarlamento di febbraio 2022 andrà a influenzare i destini di questi equilibri politici europei, importanti tanto a Bruxelles quanto nelle ventisette capitali