AGI - Se non dovessero arrivare eclatanti accordi sulla neutralità climatica, la battaglia contro la deforestazione potrebbe essere il grande successo della Cop26 di Glasgow.
Oltre cento leader del mondo, che guidano i Paesi ospitanti l'86% delle foreste del globo, si sono impegnati a stroncare la deforestazione entro il 2030, mettendo sul tavolo impegni finanziari (che comprendono anche investimenti privati) per un ammontare di 19,2 miliardi di euro.
L'Unione europea si è impegnata per un miliardo, di cui 250 milioni da destinare al Bacino del Congo (secondo polmone della Terra dopo l'Amazzonia).
Il presidente americano, Joe Biden, ha annunciato che chiederà al Congresso di stanziare nove miliardi entro il 2030. Ma tra i firmatari ci sono anche Brasile (sotto attacco per aver trascurato negli ultimi anni l'Amazzonia), Russia, Cina, Colombia, Indonesia, Australia, Costa Rica.
Il premier britannico Boris Johnson ha definito l'accordo sulla deforestazione fondamentale per l'obiettivo generale di limitare l'aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius, l'obiettivo più ambizioso dell'accordo di Parigi.
"Il cambiamento climatico e la biodiversità sono due facce della stessa medaglia", ha sottolineato.
"Non possiamo affrontare la devastante perdita di habitat e specie senza affrontare il cambiamento climatico e non possiamo affrontare il cambiamento climatico senza proteggere il nostro ambiente naturale e rispettare i diritti delle popolazioni indigene", ha aggiunto.
"Quindi proteggere le nostre foreste non è solo la giusta linea d'azione per affrontare il cambiamento climatico, ma la giusta strada per un futuro più prospero per tutti noi", ha affermato.
Nel patto della Cop26 per "arrestare e invertire la deforestazione e il degrado del suolo entro il 2030" ci sono anche le promesse di garantire i diritti delle popolazioni indigene e riconoscere "il loro ruolo di guardiani delle foreste".
Le foreste ospitano 60 mila diverse specie di alberi, l'80% delle specie di anfibi, il 75% delle specie di uccelli e il 68% delle specie di mammiferi sulla Terra, secondo i dati dell'Earth Programme United Nations Environment (Unep). Ma le cifre rivelano le dimensioni di questa catastrofe: negli ultimi 13 anni più di 43 milioni di ettari di foresta sono stati devastati in questi ecosistemi, un'area paragonabile alla California.
Un recente rapporto dell'organizzazione ambientale mondiale Wwf avverte che la deforestazione è in atto da molti decenni in Amazzonia, in Africa centrale, Mekong e Indonesia, ma indica anche nuovi fronti nell'Africa occidentale (Liberia, Costa d'Avorio o Ghana), nell'Est Africa (Madagascar) e in America Latina, in luoghi come la Foresta Maya del Messico e del Guatemala.
Il rapporto individua le principali cause di questa perdita di massa forestale ed evidenzia, tra gli altri, l'allevamento e l'agricoltura su larga scala di prodotti come la soia in America Latina; in Africa per l'agricoltura di sussistenza; e in Asia a causa delle piantagioni di palma e pasta di carta.
A questo punto, va notato che gran parte della soia prodotta in America Latina finisce in Cina e nell'Unione Europea, il secondo mercato per questo prodotto.
E non a caso la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato un nuovo regolamento contro i prodotti che causano deforestazione. "I cittadini europei non li vogliono comprare, ce l'hanno detto chiaramente", ha sottolineato.