AGI - L'America latina flagellata dalla pandemia, alle prese con povertà diffusa e forti diseguaglianze socio-economiche, deve fare i conti con un altro "virus tossico e letale: il populismo". A denunciarlo il mese scorso alla 76esima sessione dell'Assemblea generale dell'Onu è stato il presidente conservatore cileno Sebastian Pinera.
"Il virus del populismo opera promettendo soluzioni demagogiche e fantasiose che sa bene di non poter realizzare" ha denunciato il capo di Stato cileno, attaccando duramente, ma senza fare nomi, diversi governi al potere nel subcontinente. "In cambio di soddisfazioni presenti effimere, finisce sempre per sacrificare il futuro, indebolire il progresso, le istituzioni democratiche e l'impero dello Stato di diritto", ha insistito Pinera.
In effetti l'America Latina sta vivendo un nuovo ciclo di populismo, di cui storicamente il continente è stato il laboratorio più avanzato al mondo, a partire degli anni '30 del secolo scorso, in reazione da un lato a regimi autoritari e dall'altro alle sirene di politiche liberali. Di sinistra come di destra, leader populisti sono oggi alla guida di diverse nazioni con risultati da poco convincenti a totalmente disastrosi per l'economia, la società e le istituzioni.
Venezuela
Emblematico del fallimento del populismo è il caso del Venezuela, governato dal 2013 da Nicolas Maduro, presentatosi come l'erede della sinistra radicale bolivariana, e che invece ha fatto precipitare il Paese in un vortice di terrore, iperinflazione, povertà per oltre il 70% della popolazione, carestia e immigrazione di massa. Il Venezuela - che da solo detiene un quarto di tutte le risorse petrolifere del continente - registra negli ultimi anni il record della più alta inflazione al mondo: 400.000% nel 2018, 10.000 nel 2019, 3.000 lo scorso anno e circa 1.600% oggi.
Con l'ultima riforma varata da Caracas, circa sei zeri sono stati eliminati dalla moneta nazionale: il nuovo bolivar, in circolazione da inizio ottobre, rappresenta l'equivalente di 100 milioni del 2007. Vale cosi' poco che i bambini giocano con i biglietti per strada e la maggior parte delle transazioni sono fatte elettronicamente, di cui più del 60% in dollari statunitensi. Il governo dà la colpa a sanzioni internazionali imposte dal 2019, soprattutto dagli Stati Uniti, per destituire il socialista Maduro, succeduto al defunto Hugo Chavez. Il fallimento evidente della rivoluzione bolivariana ha già spinto alla fuga nei Paesi vicini di oltre 6 milioni di venezuelani, provocando la più grande crisi dei rifugiati mai verificatasi nel continente.
Nicaragua
Il Nicaragua di Daniel Ortega si è invece trasformato da rivoluzione contro un regime in una dittatura mascherata di democrazia, facendo saltare tutti i parametri della convivenza civile. A poche settimane dalle presidenziali è scattata una caccia all'uomo ai danni di chi si oppone al governo e dei potenziali rivali dell'opposizione a Ortega, in lizza per un quarto mandato.
Finora sono stati arrestati una decina di candidati ed esponenti politici di spicco oltre a giornalisti, banchieri, professori universitari ed imprenditori mentre alcune Ong, tra cui Oxfam, sono state messe al bando. In realtà il malessere sociale si è già manifestato nel 2018, con proteste di piazza e barricate a Managua, represse nel sangue, con oltre 400 morti. Ortega, ex guerrigliero marxista poi presentatosi come il presidente rivoluzionario concentra il potere nelle sue mani assieme alla moglie nonchè vice, Rosario Murillo, e per conservarlo non esitano a diffondere il terrore, colpendo gli avversari più potenti per scongiurare nuove rivolte di piazza. Al suo ritorno alla guida del Nicaragua, nel 2006, Ortega ha moderato i toni e scelto il populismo, forte della pioggia di aiuti a fondo perso che arrivavano dal Venezuela chavista: almeno 5 miliardi di dollari tra il 2008 e il 2016.
Mentre si schierava con il bolivarismo latino-americano, in patria il presidente stringeva alleanze con conservatori ed evangelici, prima di passare alla fase più dura del suo regime, prendendo il controllo de facto su tutti gli altri poteri e dotandosi di una legge ad hoc, di "difesa dei diritti del popolo", che permette al governo di arrestare chiunque sia considerato una minaccia per la sicurezza nazionale. Un'evoluzione politica andata di pari passo con una crisi economica sempre più preoccupante: la povertà è cresciuta notevolmente, mettendo fine al ciclo di crescita sostenuta registrato dal 2008 al 2016, una media del 5% del Pil, in assoluta controtendenza rispetto ai Paesi vicini.
Una crisi economica aggravata dalla pandemia e dalla devastazione provocata dal passaggio degli ultimi uragani Iota ed Eta. Come via d'uscita, molti nicaraguensi sono scappati: negli ultimi 3 anni in 100 mila sono emigrati in Costa Rica e sono migliaia le richieste di asilo politico presentate in Messico e negli Stati Uniti.
Messico
Il nazionalista di sinistra Andres Manuel Lopez Obrador - noto come AMLO - è stato eletto con la promessa di migliorare la vita delle persone ordinarie, in un Paese flagellato dalla corruzione e dall'insicurezza e la violenza diffuse in alcune regioni, in parte a causa del narcotraffico. A distanza di quasi tre anni dall'elezione, Obrador - e il suo partito Morena - è in calo nei consensi, sempre più criticato per il suo stile di governo populista, spesso ritenuto autoritario. Il presidente messicano si sta adoperando per far modificare la Costituzione e rafforzare il controllo dello Stato sulle risorse energetiche, ad esempio ri-nazionalizzando il settore petrolifero. A fare le spese di un'economia in sofferenza dal 2018 - con una recessione nel 2019 e nel 2020 un calo del Pil del 9% come conseguenza della pandemia - sono le fasce più vulnerabili della popolazione.
La percentuale di quanti lavorano ma rimangono sotto la soglia di povertà è salita di 12 punti percentuali dall'inizio della pandemia e a metà -fine 2020 sfiorava il 50% della popolazione. E Amlo, in barba alle critiche e al prezzo che i messicani stanno pagando, sembra determinato a portare avanti la sua ricetta di governo e gestione del Paese: cancellazione di grandi progetti avviati dalla precedente amministrazione, in particolare nel settore energetico, stabilità di bilancio anteposta alle domande di tutela da parte della popolazione, banca centrale indipendente che punta alla stabilità del livello dei prezzi. Inoltre, il presidente messicano ha gestito la crisi del Covid-19 ostentando un negazionismo alla Trump.
Infine con ripetute uscite che ricordano l'ex presidente Usa, Lopez Obrador ha respinto con virulenza le critiche dei media, bollandole di "fake news", e suggerito ai giornalisti di "comportarsi bene, altrimenti sapete cosa vi succederà", minacciando quindi censure ed arresti, in un copione ben noto, non solo in Messico.
Argentina
Non se la passa meglio l'Argentina governata da dicembre 2019 dal peronista Alberto Fernàndez, dopo il sostanziale fallimento delle riforme pro-mercato introdotte dal governo di centro-destra di Mauricio Macri (2015-1018). La pandemia ha avuto un forte impatto sul Paese, sia in termini sanitari che economici, con oltre 5,2 milioni di argentini positivi - su una popolazione di circa 40 milioni - e 116 mila decessi. Le conseguenze sull'economia sono state molto pesanti, aggravando la recessione già in corso dal 2018: secondo il Fondo Monetario Internazionale l'anno scorso il Pil ha subito un crollo del 10%, facendo peggio della media della regione latinoamericana in cui il Pil si è contratto del 7%.
La recessione ha anche contribuito a peggiorare altri indicatori, quali povertà - in aumento dal 35% del 2019 al 40% nel 2020 - e diseguaglianze, con il coefficiente Gini molto più alto che nelle economie avanzate: il 20% più povero possiede solo il 5% del reddito disponibile nazionale. Anche i parametri di bilancio, già messi a dura prova da un ciclo negativo a livello internazionale che aveva depresso le entrate fiscali per i bassi prezzi delle materie prime, ne hanno risentito: il rapporto deficit/Pil che ha raggiunto il 6,5%, mentre la sostenibilità del debito estero è stata nuovamente messa in discussione con una tranche di 2,4 miliardi di dollari che ha dovuto essere rinegoziata con i debitori rappresentati dal Club di Parigi.
L'Argentina sta anche scontando altri problemi annosi, come l'inflazione galoppante nonostante i ripetuti tentativi di riportarla sotto controllo - al di sopra del 40% nei mesi scorsi - e la bassa produttività del lavoro - del 58% più bassa rispetto alla media Ocse - che ha contribuito a penalizzare la competitività internazionale del Paese negli ultimi decenni, abbassandone il potenziale di crescita.
Tuttavia dovrebbe sperimentare un "rimbalzo" positivo in termini di crescita economica, che nel 2021 potrebbe raggiungere il 7% e nel 2022 il 3%. Al momento i consensi popolari non sono pero' favorevoli alla coalizione di centro-sinistra 'Frente Todos' del presidente Fernandez, sconfitta dall'opposizione conservatrice alle elezioni primarie del mese scorso, in 17 delle 24 province. Un voto considerato un test, quasi un'anticipazione delle elezioni legislative di metà mandato, previste per il 4 novembre, che rischiano di registrare un indebolimento del potere peronista, lasciando presagire la perdita della maggioranza in Senato e un peggioramento della sua posizione già di minoranza alla Camera dei deputati.
Brasile
Dal gennaio 2019 il Brasile è governato da uno dei leader politici più controversi al mondo: il presidente di estrema destra Jair Bolsonaro. Il gigante sudamericano è messo in ginocchio dalla pandemia, affrontata in una prospettiva negazionista dal presidente populista, che sta traballando politicamente. Gli ultimi sondaggi per le presidenziali di ottobre 2022 lo danno dietro al rivale Luis Inacio Lula da Silva e dalla piazza arrivano crescenti proteste popolari che vedono il centro e la sinistra uniti per sconfiggerlo. La crisi sanitaria fuori controllo - con oltre 21,5 milioni di casi e 600 mila morti - oltre che sulla politica ha un impatto significativo sull'economia.
Se il crollo del Pil è 'solo' del 4%, grazie agli interventi massicci per sostenere l'economia, lo scenario è comunque tra i più foschi degli ultimi decenni. Nel 2021 il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi al 14,6%, il più alto nella storia recente del Paese, mentre l'inflazione è in crescita costante e, con le attività chiuse, milioni di brasiliani sono ripiombati nella povertà. L'altro danno grande per l'intero pianeta è rappresentato dalla gestione sciagurata delle risorse dell'Amazzonia, deforestata a ritmi elevati per il suo sfruttamento da parte dell'industria agricola e mineraria, con il beneplacito di Bolsonaro.
Per molti analisti, il Brasile sta attraversando la sua peggior crisi politica, sociale ed economica dalla fine della dittatura. Secondo loro è concreto il rischio di una campagna elettorale sulle macerie del Paese, con il presidente uscente pronto a giocarsi tutte le sue carte, in un clima da 'resa dei conti'.
Cuba
Non tira buon vento nemmeno per il potere castrista a Cuba, dove gli effetti economici della pandemia hanno esacerbato il malcontento del popolo per le proprie condizioni di vita. Sono mesi che la gente protesta per le strade, denunciando la carenza di cibo e medicine sempre più grave, cosi' come la povertà, all'interno del potere comunista alla guida da 60 anni ma che ha fallito.
La pandemia ha fatto da catalizzatore al malessere dei cubani che hanno portato per le strade le proprie rivendicazioni ed aspirazioni: la fine della repressione, la possibilità di maggiore sviluppo, di nutrirsi meglio, di aver accesso ad internet e ad un'informazione libera. Si sono alzate voci a favore delle dimissioni del presidente Miguel Diaz Canel, che ha iniziato il suo mandato nel pieno di una grande crisi. I vertici resistono e per arginare le storiche manifestazioni hanno dispiegato ingenti forze dell'ordine e procedono all'arresto di oppositori ed attivisti, con un bilancio di oltre 5 mila arresti e dieci vittime.
Al fianco di Raul Castro, il presidente Diaz Canel ha riaffermato la rivoluzione cubana, sostenendo che in merito alle proteste sono state dette "bugie" e accusando gli Stati Uniti di averle provocate.