Nel palazzo medioevale del governo catalano, la Casa dels Canonges, costruita nel Tredicesimo secolo a due passi dalla splendida cattedrale di Barcellona, un consigliere diplomatico fa sedere alcuni giornalisti di varie nazionalità (un britannico, una svedese, un belga, una romena, un lettone, un francese, un’italiana) attorno a un tavolino basso dove sono posate coppette di olive, “pan con tomate”, noccioline. Un cameriere versa nei bicchieri una bevanda a scelta fra vino bianco o rosso, acqua o birra. “Il presidente arriva, potete accomodarvi a tavola”.
L’intervista collettiva di 7 testate europee (fra cui l’Agi) con Carles Puigdemont comincia attorno alle 13,30 di venerdì 30 giugno 2017. Fa caldo, i corrispondenti da Bruxelles hanno trascorso la mattinata visitando il bellissimo Palau de la Musica, nei giorni precedenti hanno avuto altri incontri con esponenti politici e della società civile catalana, quasi tutti a favore della scelta di Puigdemont di convocare, per il primo ottobre, un referendum sull’indipendenza.
Il 130/mo presidente del governo catalano, che 3 mesi dopo, “ricercato” con un mandato di arresto europeo emesso dai giudici di Madrid per “ribellione, sedizione e malversazione”, sarebbe fuggito in Belgio dove tuttora risiede dopo l’elezione all’europarlamento, in quel giugno 2017 era ancora sorridente, calmo e determinato.
Non mostrava apprensione per quanto sarebbe accaduto procedendo con un referendum considerato “incostituzionale” dal governo e dal Tribunale costituzionale. “Non ci importa quello che Madrid farà per impedircelo, niente ci fermerà: il mandato che abbiamo ottenuto dai catalani è chiaro. E’ una questione di democrazia. Ho 54 anni, sono cresciuto in una dittatura: ora voglio vivere in una società veramente democratica”.
Puigdemont, che compirà 59 anni alla fine di quest’anno, è stato arrestato in Sardegna e attende di conoscere il suo destino: la giustizia italiana lo estraderà in Spagna, dove è stato condannato nel 2019?
In quel giorno di inizio estate 2017, nella sala da pranzo del palazzo della Generalitat, mangiando un’ottima “paella”, l’allora presidente non immaginava certo quello che gli sarebbe successo nei mesi e anni a seguire, la fuga in Belgio, l’elezione al Parlamento europeo, la revoca dell’immunità fino all’arresto in Italia nelle scorse ore. Puigdemont salutò i giornalisti nelle rispettive lingue, con un sorriso e una stretta di mano, sottolineando che era pur sempre un ex “collega”.
La sua pettinatura sbarazzina da “quinto Beatles”, come dicono facendo riferimento alla sua passione per il rock britannico e al caschetto scuro, risale a oltre 30 anni fa, quando un brutto incidente stradale gli lasciò profonde cicatrici sulla fronte. Da allora, preferisce coprirla con i capelli, ancora folti e striati di grigio.
A Barcellona è sempre stato considerato un “outsider”, nonostante sia un partigiano della causa catalana fin dalla più tenera età quando nella cittadina natale di Amer, vicino a Girona, si fece cucire dalla nonna una bandiera a strisce gialle e rosse con la stella bianca in campo blu: la bandiera della Catalogna.
L’élite indipendentista di Barcellona ha all’inizio guardato un po’ dall’alto questo “provinciale”, figlio di pasticceri, diventato sindaco di Girona e poi presidente della Generalitat catalana un po’ per caso. Il suo predecessore Artur Mas, anche lui indagato a suo tempo per avere organizzato un referendum consultivo nel 2014, era invece un prodotto della borghesia industriale di Barcellona.
Ma era soprattutto il delfino a suo tempo designato dello storico presidente Jordi Pujol, oggi novantunenne e anch’egli coinvolto negli anni scorsi in uno scandalo per essersi arricchito effettuando frodi fiscali nell’esercizio delle sue funzioni.
A Barcellona nell’estate 2017 come gli altri interlocutori, e in particolare l’allora ministro degli Esteri Raul Romeva, oggi consigliere per gli Affari esteri della Generalitat ma anch’egli condannato nel 2019, Puigdemont volle ricordare ai giornalisti provenienti da Bruxelles che i catalani sono da sempre convinti europeisti, dicendosi fiducioso del ruolo che l’Europa avrebbe svolto nella disputa con il governo di Madrid. Tutte speranze successivamente deluse, soprattutto dopo che a Puigdemont, nel frattempo eletto europarlamentare, è stata revocata l’immunità dai colleghi di Strasburgo.
Durante tutta la conversazione di quel venerdì estivo, Puigdemont si disse convinto che un voto per l’indipendenza avrebbe finalmente reso possibile “il dialogo con l’Ue e con la Spagna. Ci sarà un periodo transitorio, al termine del quale come sempre in Europa prevarrà la realpolitik: la Catalogna è una regione importante, vale il 2% del Pil europeo ed è destinazione di 70 milioni di turisti all’anno. Vogliamo continuare a contribuire allo sviluppo della Spagna”. L’esito delle sue scelte politiche si sarebbe rivelato molto diverso da quanto si immaginava da presidente: e se prossimamente farà ritorno in patria dopo quattro anni, non sarà certo nelle condizioni auspicate.