AGI - La nuova alleanza “militare” nell’Indopacifico fra Usa, Gran Bretagna e Australia pone l’Europa di fronte a una scelta di campo: sostenere l’iniziativa americana nella regione o difendere i suoi rapporti con la Cina? Secondo Pierre Vimont, diplomatico francese di lungo corso, in passato ambasciatore a Washington e capo di gabinetto del Quai d’Orsay, ma anche direttore generale del servizio europeo di Azione esterna quando fu istituito, “andrebbe a tutto merito dell’Ue se puntasse a evitare una nuova Guerra fredda assumendo un ruolo di mediazione, cercando una terza via”.
Le relazioni transatlantiche fra Europa e Stati Uniti, ha spiegato Vimont in un’intervista all’Agi, “sono storicamente state costellate da divergenze e difficoltà. Penso al gasdotto russo che nell’epoca di Ronald Reagan spinse Washington a sanzionare gli europei, o all’intervento in Iraq, deciso da Usa e Gb contro il parere di Francia e Germania. Sarà interessante vedere se Joe Biden deciderà di affrontare questo nuovo momento di difficoltà con un braccio di ferro, o se troverà forme di conciliazione”.
Il ruolo di India e Giappone
Anche gli altri due partecipanti del gruppo “Quad”, ovvero India e Giappone, saranno probabilmente presto invitati dagli Usa a far parte della nuova alleanza militare dell’Indopacifico, che per ora comprende Australia e Regno Unito, e con loro anche la Corea del Sud. Per Vimont, “da parte degli Stati Uniti è stato un passo ulteriore rispetto al Quad, il fatto di introdurre anche attraverso l’Australia la tecnologia nucleare già presente nella regione con Cina e Usa oltre che con i missili nordcoreani: c’è chi ha parlato di una Nato del Pacifico”.
D’altra parte, non sono state favorevoli le reazioni di altri Paesi della regione: non solo la Cina, che l’ha evidentemente interpretata come una mossa contro di lei, ma anche la Nuova Zelanda, che a Usa, Australia, Regno Unito e Canada è unita dall’alleanza di intelligence “Five Eyes”.
“Hanno escluso di concedere il proprio spazio marittimo ai sottomarini a propulsione nucleare dell’Australia – ha sottolineato Vimont – e oltretutto c’è la questione che riguarda l’impegno australiano nel trattato di non proliferazione nucleare del 1968”. Insomma, si tratta di “una mobilitazione molto forte dei Paesi della regione, vista dalla Cina come una provocazione, che potrebbe portare Pechino a reagire prendendo iniziative”.