AGI - Vent’anni di guerra in Afghanistan, quattro presidenti, due repubblicani e due democratici, e quattro dottrine. Se Bush l’indomani dell’11 Settembre assunse il ruolo del Commander in Chief, Obama rinforzò la presenza militare, preparando un ritiro mai realizzato. Trump è il presidente degli accordi con i talebani, Biden ha messo fine alla missione. Per paradosso, e con qualche distinguo, in questi vent’anni i democratici hanno seguito la linea del rispettivo predecessore repubblicano. Obama ha seguito la linea tracciata da Bush. Biden quella avviata da Trump.
George W. Bush
George W. Bush: il presidente dell’impegno militare. Avviò la missione come risposta all’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, lanciato da Al Qaeda, la cui base era in Afghanistan. Formato un gabinetto di guerra, di cui facevano parte il vicepresidente Dick Cheney, la consigliera alla sicurezza Condoleezza Rice, il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e il segretario di Stato Colin Powell, venne individuato in Al Qaeda il principale bersaglio. Convinto che, nella guerra irachena, gli Stati Uniti avessero perso credibilità per non essere stati rapidi e decisi, Bush spinse per l’invio immediato e massiccio di soldati in Afghanistan. Il 7 ottobre del 2001, gli Usa avviarono i primi attacchi aerei contro le installazioni militari dei talebani. L’operazione venne chiamata “Enduring Freedom”, poi “Operazione Anaconda”. Nella primavera 2003 venne catturato Khalid Shaykh Muhammad, terrorista pakistano, considerato uno dei registi dell’11 settembre, ma la guerra era solo all’inizio.
Nell’estate 2006 gli attacchi erano drammaticamente aumentati e l’approccio multilateralista di cooperazione internazionale aveva registrato i primi cedimenti. Bush decise di aumentare la presenza militare: nel giro di due anni i soldati passarono da 20 mila a 30 mila. I fondi per la ricostruzione e l’addestramento dell’esercito afghano vennero raddoppiati. La dottrina Bush afferma: “La guerra al terrore comincia con Al Qaeda ma non finisce lì. Non finirà fino a che ogni gruppo nel mondo verrà trovato, fermato e sconfitto”.
Barack Obama
Barack Obama: il presidente del rilancio. Appena assunto l’incarico, nel 2009, il presidente accolse la richiesta dei generali e inviò altri 21 mila soldati, portando la presenza americana in Afghanistan a 60 mila militari. Rispetto al suo predecessore, Obama era convinto che un cambio di strategia militare avrebbe aiutato a rendere autonome le forze afghane, preparando il terreno a un ritiro americano. Nel famoso discorso dell’1 dicembre 2009, Obama annunciò l’invio di altri 33 mila soldati, ma fissando l’inizio del ritiro entro il luglio 2011. Le elezioni di ‘midterm', in cui i repubblicani erano più interessati alle questioni interne, favorirono il disimpegno di Obama nella regione. Il numero dei soldati impegnati, che aveva raggiunto il picco di 97 mila nel 2011, scese a 12 mila nel 2015. Le credenziali del presidente erano già state rinsaldate dall’uccisione, l’1 maggio 2011, del leader di Al Qaeda, Osama bin Laden, a opera di una squadra speciale di Navy Seals, dopo l’individuazione del bunker del terrorista a Abbottabad, Pakistan. Da quel momento cominciarono il lento disimpegno americano, e l’era dei droni. Obama dichiarò l’inizio di un “nuovo approccio” nella guerra al terrore, la stessa che verrà richiamata da Biden nel discorso del 31 agosto.
Donald Trump
Donald Trump: il presidente dell’America First. Con l’arrivo del tycoon newyorkese, alla Casa Bianca siede un uomo interessato soprattutto a quello che succede dentro l’America, e più freddo rispetto alle cose lontane. Il suo approccio segna un cambiamento culturale straordinario per la storia americana: la dottrina Truman aveva lanciato gli Usa in aiuto dei Paesi minacciati dall’Unione Sovietica. Quella di Jimmy Carter era tesa a difendere il Golfo Persico. La dottrina Reagan poneva gli Stati Uniti in difesa dei ‘combattenti per la libertà’ contro i regimi sostenuti dai sovietici. Trump punta a togliersi da ogni multilateralismo e a procedere da solo. Non è la dottrina dell’isolazionismo, ma del disimpegno, nel senso pratico dell’uomo d’affari poco attratto da "guerre infinite e costose" che "non portano a niente”. Per questo nel 2017, tra i primi obiettivi in politica estera, c’è il ritiro completo dall’Afghanistan, anche a costo di riconsegnare il Paese ai talebani. Nel febbraio 2020, con gli accordi di Doha, l’amministrazione e i talebani firmano un’intesa, che prevede il ritiro di tutte le forze straniere in cambio della promessa degli integralisti di evitare il ritorno di Al Qaeda. Trump accetta di ridurre i soldati da 13 mila a 8600 entro luglio 2020, per poi completare il ritiro entro l’1 maggio 2021, a patto che i talebani rispettino gli accordi. Al summit, però, non ci sarà il governo afghano. Assenza che, secondo gli analisti, ha finito per indebolire la soluzione diplomatica.
Joe Biden
Joe Biden: il presidente del ritiro. In tutta la sua campagna, il democratico aveva promesso il ritiro completo. Considera la missione in Afghanistan “inutile e costosa”, usando le stesse parole di Trump, ma con un obiettivo diverso: spostare l’influenza americana in un’altra area della regione asiatica, quella meridionale, per contrastare meglio la Cina. La guerra al terrore, secondo Biden, può essere combattuta con la tecnologia, l’uso di droni, e convogliare miliardi di dollari destinati all’addestramento delle forze afghane in piani di rilancio dell’economia interna americana.
Quando il democratico si insedia alla Casa Bianca, i soldati americani in Afghanistan sono 2500. Ad aprile il presidente dichiara che il ritiro non verrà completato entro l’1 maggio, ma entro l’11 settembre, data simbolica che segna i vent’anni dagli attacchi alle Torri Gemelle. Dopo il fallimento del 4 Luglio, che doveva essere l’Independence Day dalla pandemia, Biden spera di trasformare l’anniversario dell’11 Settembre nella festa nazionale della fine della guerra. Ma non sarà così. Il giorno della scadenza fissata con Trump, i talebani cominciano gli attacchi. La situazione comincia, velocemente, ad aggravarsi. Il Pentagono segnala il rischio collasso, ma Biden, contrario da vicepresidente all’impegno in Afghanistan, non cambia idea. L’8 luglio annuncia che la scadenza è anticipata al 31 agosto. A inizio agosto i soldati sono 650, tutti a guardia dell’ambasciata di Kabul e dell’aeroporto. Gli 007 segnalano che il governo cadrà nel giro di settimane, o mesi.
Il 12 agosto, dopo la rapida avanzata talebana, Biden annuncia l’invio di 3 mila soldati per garantire l’evacuazione. Due giorni dopo, il contingente passa a 5 mila. Il 15 agosto, a 6 mila. Il 16, a 7 mila. Il 26 un attacco terroristico all’aeroporto provoca quasi duecento morti, tra cui tredici militari americani. Sono le prime vittime dopo più di un anno di tregua. L’ultimo aereo lascerà Kabul alle 23,59 ora locale, del 30 agosto.