AGI - Dopo il decollo dell’ultimo aereo Usa e l’esultanza dei talebani, che hanno consolidato il ritorno al potere in Afghanistan nel giorno in cui finisce la ventennale presenza militare internazionale, l’Europa affronta ai massimi livelli ministeriali la questione migratoria, per evitare di doversi trovare in una emergenza come quella del 2015.
La questione della sicurezza preoccupa la comunità internazionale almeno tanto quanto quella dei diritti: non soltanto per gli afghani che hanno collaborato con Ong ed eserciti negli ultimi 20 anni, ma anche per le migliaia di stranieri che non sono ancora riusciti o non sono ancora voluti partire: sono “centinaia” solo i britannici.
Il Regno Unito non esclude di poter intervenire, per motivi di legittima difesa, con attacchi aerei; il governo tedesco fa autocritica: secondo il ministro degli Esteri Heiko Maas le missioni militari “"non sono adatte ad esportare forme di Stato a lungo termine. Quel tentativo è fallito in Afghanistan.
E mentre i ministri dei 27 sono riuniti a Bruxelles con l’obiettivo di aiutare i Paesi vicini a gestire i profughi afghani, la commissaria Ylva Johansson ha ricordato l’importanza di “evitare la crisi umanitaria e quella migratoria oltre ai rischi per la sicurezza provenienti dall’Afghanistan”.
Ricorre fra i partecipanti alla riunione Ue il riferimento alla crisi del 2015, quando la politica di accoglienza dell'Ue favorì la rotta balcanica e si ritrovò ai confini centinaia di migliaia di persone. “Possiamo evitare una situazione paragonabile perché siamo meglio preparati”, ha detto Johansson. L’obiettivo è gestire i flussi a livello globale, a partire dal sostegno ai Paesi limitrofi, mentre al momento non vengono richiesti impegni di accoglienza ai singoli Paesi europei.
Infine, nel primo giorno senza militari Usa in Afghanistan dopo 20 anni, il "comandante in capo" Joe Biden torna a rivolgersi agli americani.