AGI - Nonostante la sua politica estera sia stata formulata negli ultimi anni in buona parte intorno alla lotta al terrorismo internazionale, Mosca ha reagito alla 'vittoria' dei talebani in Afghanistan con fredda realpolitik.
Mentre nella Federazione gli 'studenti coranici' rimangono ancora un gruppo classificato come terrorista, il presidente Vladimir Putin ha invitato ad accettare "la realtà che ormai controllano quasi tutto il Paese" e bisognerà costruire con loro "buone relazioni".
L'ambasciatore russo a Kabul è stato tra i primi a incontrare i nuovi 'padroni' dell'Afghanistan, ma la Federazione non ha fretta di riconoscerli ufficialmente, preferendo puntare sugli appelli a un "governo inclusivo". L'inviato speciale in Afghanistan, Zamir Kabulov, ha detto che grazie al dialogo pluriennale con i talebani, la Russia può ora "parlare con tutte le forze" in campo.
Come in Libia, Mosca rivendica la capacità di dialogare con tutti gli attori coinvolti nella crisi, rilanciando anche su questo scenario il suo ruolo di mediatore. Per Elizabeth Buchanan, fellow del Modern War Institute di West Point, si tratta di un approccio pragmatico e "a lungo termine", riassumibile con la proverbiale espressione russa 'Doveryay, no proveryay', 'fidati ma verifica'.
Mosca appare pronta a impegnarsi in un dialogo coi talebani, se questi saranno in grado di garantire sicurezza ai suoi diplomatici e di evitare attacchi agli alleati in Asia centrale, prima di tutto Tashkent e Dushanbe. Il fianco meridionale della Federazione, l'Asia centrale, è da tempo focolaio di fragilità geostrategica e il Cremlino vorrebbe mantenere la regione come una "zona cuscinetto".
L'ipotesi di una instabilità che travasa in territorio russo - dove peraltro vive una consistente comunità musulmana - non è negoziabile per Putin, interessato in questo momento anche a garantire la sicurezza delle sue basi militari in Tagikistan e Kirghizistan.
Gli studenti coranici "per Mosca e per l'Asia centrale non sono un problema finché non oltrepassano i confini afghani, non forniscono un rifugio all'estremismo transfrontaliero", ha scritto il direttore del Carnegie Center di Mosca, Dmitri Trenin. Putin, in conferenza stampa con la cancelliera Angela Merkel, ha ammonito sul rischio del dilagare di terroristi, anche sotto le mentite spoglie di profughi.
Gli analisti si aspettano che Mosca rilancerà uno sforzo diplomatico per costruire il dialogo con la nuova leadership afghana e gestire anche i flussi migratori. Se da una parte il frettoloso ritiro americano può, d'ora in avanti, essere usato dal Cremlino come emblema dell'inaffidabilità occidentale verso gli alleati, dall'altra pone anche il quesito su dove ricollocherà Washington la sua presenza militare nella regione: Putin (come anche la Cina) non vuole il ricollocamento di truppe Usa nel ventre molle centro asiatico e, secondo rivelazioni del Wall Stree Journal, lo avrebbe detto chiaramente al presidente Joe Biden al vertice di giugno a Ginevra.