AGI - Per l’Africa potrebbe essere una tempesta perfetta. Prima, nel 2020, le chiusure degli impianti estrattivi e produttivi hanno fatto diminuire la disponibilità di materie prime. Poi la forte ripresa economica trainata da Cina e Stati Uniti ha causato un’impennata della domanda di commodity. Dopo avere sofferto per una parte del 2020, a cominciare dal petrolio finito in territorio negativo – il 20 aprile - il recupero è stato consistente: il Dow Jones Commodity Index (che è uno strumento d’investimento) segnava 496,46 punti il 14 maggio 2020 ed è salito a 882,40 il 21 luglio 2021, una variazione di oltre il 78% in poco più di un anno. Il Baltic Dry Index (indica quanto costa spedire materie prime) è tornato a superare 2mila punti, in rialzo del 60% da inizio 2021 e di oltre il 200% rispetto a maggio del 2020, quando in piena emergenza Covid l’indice era crollato ai minimi da 4 anni.
La guida cinese
A guidare il balzo è sicuramente la Cina. Nel primo trimestre Pechino ha acquistato all’estero (in gran parte dagli Usa con la risoluzione della guerra dei dazi) 6,7 milioni di tonnellate di mais, più del quintuplo rispetto allo stesso periodo del 2020. Il risultato è che oggi tutte le commodity registrano un aumento della domanda, e tutte un forte incremento dei prezzi: il rame si è apprezzato del 47% rispetto ai livelli pre crisi, il legno del 6%, il petrolio ha recuperato velocemente e ora è a -3% dalla valutazione pre pandemia. I prezzi delle materie prime sono saliti anche del 117% negli ultimi mesi, come nel caso del ferro. Il mais da settembre 2020 a giugno 2021, in circa 8 mesi, è aumentato di quasi il 60% raggiungendo livelli di prezzo che non venivano registrati dal 2012. Il frumento tenero dai minimi di luglio 2020 è aumentato di oltre il 30%, cosa che non succedeva dal 2013.
La soia è cresciuta da ottobre 2020 a giugno 2021, in appena 8 mesi, di oltre l’80%. In questo caso sono prezzi superiori di oltre il 30% rispetto al picco massimo registrato negli ultimi 10 anni. Sul cacao, invece, pesano ancora le restrizioni, i prezzi sono ancora bassi, ma la volatilità è tanta con oscillazioni tra i 200 e i 300 euro per tonnellata alla settimana. Come è noto l’Africa è un grande produttore di materie prime. I Pil di molte nazioni sono composti proprio dalle esportazioni, per esempio di petrolio. L’aumento dei prezzi non può che fare bene a queste economie, anche se è altrettanto noto che le royalty che derivano da questo comparto non hanno un impatto significativo sull’economia reale. Poco o nulla, infatti, viene investito nella crescita di settori economici come quello dell’agricoltura e dell’industria di trasformazione così da poter superare il male che affligge ancora il continente: l’insicurezza alimentare.
La Banca africana di Sviluppo stima che le importazioni alimentari – che oggi superano i 35 miliardi di dollari all’anno – nel 2025 raggiungeranno i 110 miliardi. Così l’Africa non può andare avanti. Ciò che preoccupa di più, infatti, è la crescita dei prezzi delle commodities alimentari e la possibile persistenza del fenomeno ben oltre il 2021. Non sembrano reggere le rassicurazioni che l’impennata dei beni alimentari possa essere transitoria e legata al semplice recupero dei livelli pre-pandemia. Secondo molti analisti la pandemia ha provocato cambiamenti permanenti dei principali operatori del mercato che possono esacerbare i prezzi e innescare ulteriori speculazioni nel comparto.
Ci si aspetta, dunque, un lungo periodo nel quale i prezzi rimarranno decisamente al di sopra della loro tendenza storica. Tutto ciò è dovuto alla ricostituzione delle scorte da parte delle grandi economie emergenti: Cina, India, Brasile, creando forti pressioni sul mercato. Sono raddoppiati anche gli ordini di grano da parte dei principali importatori medio-orientali e del Nord-Africa, riflettendo una nuova logica prudenziale influenzata dalle precedenti esperienze di crisi e dai danni inflitti dalla pandemia. L’inflazione delle commodities alimentari può essere molto pericolosa dal punto di vista della stabilità politica ed economica delle economie importatrici, specie se queste non possono far fronte all’incremento dei costi attingendo a riserve valutarie o ricorrendo a forme alternative come l’emissione di debito estero.
Nel 2007-2008, la più grave siccità del XXI secolo fece balzare i prezzi a livelli record innescando rivolte alimentari in numerosi paesi africani. Per l’Africa il bilancino economico pende a favore delle materie prime estrattive. Il riequilibro a favore di un piano di sviluppo per la sicurezza alimentare, dovrebbe essere la priorità per le economie del continente se non vogliono impattare contro una società sempre più insofferente per mancanza di politiche di welfare. La sfida è enorme.