AGI - Le delegazioni dell’Iran e delle sei potenze mondiali impegnate nei negoziati a Vienna per salvare l’accordo sul nucleare del 2015 (Jcpoa) si sono riviste per il primo incontro dopo l'elezione dell'ultraconservatore Ebrahim Raisì a presidente della Repubblica islamica.
Con la riunione della Commissione congiunta si è chiuso il sesto round di colloqui, iniziati il 12 giugno: le delegazioni ora torneranno nelle loro capitali per consultazioni "in preparazione di quello che dovrebbe essere l'ultimo round di negoziati", ha annunciato su Twitter il negoziatore russo, Mikhail Ulyanov.
Il rappresentante di Mosca, da sempre il più ottimista al tavolo negoziale, aveva sottolineato ieri che "un accordo per ripristinare il patto è alla nostra portata, ma non è ancora stato concluso".
Un negoziato avviato ad aprile
L'Iran e cinque grandi potenze - Germania, Cina, Francia, Regno Unito e Russia - stanno negoziando nella capitale austriaca dall'inizio di aprile il rientro degli Stati Uniti nell'accordo e il ritorno al pieno rispetto degli impegni da parte di Teheran, venuta meno a gran parte dei suoi obblighi dopo il ritiro unilaterale Usa dall'intesa nel 2018 e il ripristino delle sanzioni, deciso dall'amministrazione di Donald Trump.
Dopo l'annuncio ufficiale della vittoria di Raisi, Washington - che partecipa indirettamente ai negoziati - ha criticato il voto (definendolo "né libero né equo") anche per la scarsa affluenza: il 48,8% degli elettori è andato a votare, un record negativo storico per le presidenziali nei 42 anni della Repubblica islamica. Nonostante la denuncia, gli Usa hanno assicurato che continueranno a impegnarsi nei negoziati a Vienna per “dare un seguito ai progressi significativi fatti durante gli ultimi round di colloqui”.
"Più che mai vicini a un accordo"
“Ora siamo più che mai vicini a un accordo, ma le distanze che esistono tra noi e un’intesa rimangono e colmarle non è un lavoro facile”, ha dichiarato il capo negoziatore iraniano Abbas Araghci alla tv statale, auspicando che l'incontro di oggi porti a "una conclusione" e che le delegazioni possano tornare nelle rispettive capitali per prendere una decisione definitiva. Araghchi si è detto "fortemente fiducioso" che si raggiunga un risultato nel prossimo e settimo round di negoziati. Dichiarazioni che, va ricordato, non sono nuove al tavolo di Vienna.
A metà agosto, il falco Raisi succederà al pragmatico Hassan Rohani, tra i fautori dell’accordo nucleare del 2015; il cambio di guardia difficilmente vedrà un’inversione di tendenza nei negoziati a Vienna, che si stanno svolgendo col benestare della Guida Suprema, Ali Khamenei, massima carica della Repubblica islamica che ha l’ultima parola su tutti i dossier strategici.
Raggiungere un accordo per l’Iran è fondamentale al fine di ridare slancio a una economia che le sanzioni economiche americane hanno contribuito a soffocare, alimentando il malcontento dell’elettorato, che ieri ha disertato le urne.
L'economia di residenza alle sanzioni
Raisi, come la Guida Suprema, è promotore di una “economia di resistenza” alle sanzioni, fatta di alleanze con partner regionali, con uno sguardo soprattutto a Cina e Russia, e basata sul potenziamento del sistema produttivo nazionale, che però senza tecnologie, investimenti e know-how europeo ha poche prospettive di poter assicurare una ripresa robusta. Un’economia più florida servirà anche a ‘comprare’ una pace sociale, che invece il forte scollamento tra potere e società, sancito da questo voto, rischia di far saltare.
Il nuovo governo, che si insedierà tra 44 giorni, spera di raccogliere il credito che arriverà dai benefici economici conseguenti all’accordo e alla revoca delle sanzioni, che potrebbero essere annunciati anche prima del giuramento ufficiale del nuovo esecutivo. La data a cui tutti guardano è il 14 luglio, anniversario della firma del Jcpoa.
Il "campanello d'allarme di Israele
L’elezione di Raisi è, però, suonata come “un campanello d'allarme” in Israele, dove il premier Naftali Bennett ha avvertito che “per le potenze mondiali si tratta di un segnale che potrebbe essere l'ultimo prima del ritorno all'accordo sul nucleare”. “Un regime di carnefici non può avere armi di distruzione di massa”, ha aggiunto. Funzionari israeliani, intanto, hanno avvertito che l’ascesa di Raisi non lascia “altra scelta” che attaccare il programma nucleare iraniano, come riporta l’emittente israeliana Channel 12, citando fonti governative.