AGI - Alla vigilia delle presidenziali iraniane, il campo dei candidati - già limitato dal vaglio del Consiglio dei Guardiani, controllato dalla Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei - si restringe ulteriormente: dopo tre ritiri dell’ultimo minuto, sono quattro i candidati rimasti in lizza, con il religioso ultraconservatore Ebrahim Raisi dato per favorito già al primo turno.
L’unico vero esponente riformista ammesso alla consultazione, Mohsen Mehralizadeh, è stato il primo a ritirarsi, seguito da due ultraconservatori, Alireza Zakani e Said Jalili, entrambi schieratisi a favore di Raisi. Voci sull’uscita di scena anche di Amirhossei Qazizadeh Hashemi, sono state smentite nella tarda serata dallo staff del parlamentare conservatore.
Con lui e Raisi rimangono in gara Mohsen Rezai, ex comandante dei Pasdaran, al suo quarto tentativo di vincere la poltrona di capo del governo, e l’ex governatore della Banca centrale, Abdolnaser Hemmati, appoggiato da parte di riformisti e moderati, fortemente divisi al loro interno.
Se il parterre rimane questo, i sondaggi dell’istituto statale Ispa attribuiscono a Raisi un 64% dei voti. È suo il volto più diffuso per le vie di Teheran sotto lo slogan “Un governo del popolo, un Iran forte”, mentre sono praticamente assenti i manifesti elettorali degli altri contendenti.
La figura di Raisi
“Raisi è l’uomo giusto, combatte ingiustizie e corruzione ed è un rivoluzionario fedele”, dice Majid Hamid, un reduce di guerra con pensione di disabilità, presente in piazza Haft Tir a uno dei raduni elettorali del favorito alle urne.
“Con lui avremo buoni rapporti con l’Europa, ma da una posizione ferma che tuteli i nostri interessi nazionali, mentre se gli Usa non cambiano atteggiamento con loro non avremo nessuna relazione”, aggiunge l’uomo, venuto in piazza con la moglie completamente velata e seduta nella zona dell’evento riservata alle donne.
“Il governo attuale pensa che l’economia possa migliorare solo con buoni rapporti con l’Occidente, ma invece potremmo puntare sui buoni rapporti coi nostri vicini e sul rafforzamento della nostra produzione interna”, spiega Ali, 25enne studente di economia all’Università di Teheran, venuto ad assistere a una conferenza stampa di Hemmati, ma già deciso a votare per Raisi.
Il contesto delle elezioni
Il voto arriva mentre la Repubblica islamica è impegnata a rivitalizzare l’accordo sul nucleare, nei negoziati indiretti con gli Usa a Vienna, e da cui auspica arrivi la revoca delle sanzioni ripristinate da Donald Trump e che stanno soffocando un’economia duramente colpita anche dalla crisi del Covid-19.
La competizione, ritenuta da molti osservatori né libera né aperta, potrebbe registrare un record di astensionismo, sullo sfondo di un diffuso malcontento per la grave crisi economica e la disillusione rispetto ai reali poteri del presidente, in un sistema politico che conferisce alla Guida Suprema l’ultima parola sulle decisioni chiave della vita del Paese.
Riformatori e moderati imputano proprio allo scontro con il ‘deep state’, legato a Khamenei, e all’opposizione del Parlamento, in mano ai conservatori, l’incapacità del governo del moderato Hassan Rohani di realizzare le promesse di benessere e aperture economiche fatte all’inizio del primo mandato, già otto anni fa.
Gli ultimi sondaggi
Sulla scia di una vasta campagna per boicottare il voto, portata avanti da oppositori e dissidenti, e dei fiori di contagio da Covid, l’ultimo sondaggio dell’istituto statale Ispa prevede un’affluenza del 42%, un dato che i media conservatori hanno definito un “balzo” rispetto al 38% registrato la settimana scorsa, ma che rimane ben al di sotto di quello delle ultime presidenziali del 2017, in cui Rohani conquistò un secondo mandato con un’affluenza del 70%.
L’ayatollah Khamenei, in un discorso televisivo ieri sera è tornato a fare appello agli iraniani perché votino “in massa”, per resistere ai nemici. L’affluenza è il dato su cui sono puntati i riflettori, in quello che è un nuovo test di legittimità per il sistema politico, dopo tre anni che hanno messo a dura prova i rapporti tra la società e il potere non solo per via della crisi ma anche per la dura repressione delle proteste del 2019 contro il caro benzina e l’abbattimento del volo di linea ucraino sui cieli di Teheran, che ha ucciso 176 persone per lo più iraniani.
Attraverso i loro mercenari nel Paese, ha tuonato Khamenei, “le potenze sataniche" cercano di far boicottare le elezioni e così di "creare una spaccatura tra il popolo e il sistema". Una spaccatura, però, che appare già realtà. “Abbiamo raggiunto un accordo col regime”, dice sarcastico Ali, proprietario di un caffè frequentato da scrittori e artisti nella zona Nord della capitale e che chiede l’anonimato, “loro lassù fanno quello che vogliono e noi quaggiù facciamo lo stesso”.