AGI - I 'pezzi grossi' della corsa alle presidenziali iraniane del 18 giugno hanno scelto l'ultimo giorno utile per ufficializzare la loro candidatura: in campo sono scesi il capo della magistratura, il religioso ultra-conservatore Ebrahim Raisi, già indicato come un possibile successore dell'82enne Guida Suprema, Ali Khamenei, e l'ex presidente del Parlamento, il conservatore moderato Ali Larijani, allineatosi con il presidente uscente Hassan Rohani.
Sullo sfondo di un'elevata apatia e disaffezione per la politica, anche per il perdurare della grave crisi economica, gli iraniani sono chiamati alle urne il mese prossimo per eleggere il successore di Rohani, impossibilitato costituzionalmente a ricandidarsi avendo già servito due mandati consecutivi. Il Consiglio dei Guardiani della Costituzione - organismo controllato di fatto da Khamenei - dovrà ora vagliare le oltre 300 candidature arrivate in questi cinque giorni di registrazioni e poi passare l'elenco approvato al ministero dell'Interno, che a sua volta entro il 27 maggio dovrà renderlo pubblico.
Chi sono i due favoriti
Già aspirante presidente, Raisi - ex giudice sotto sanzioni americane per il suo ruolo nelle violazioni dei diritti umani in Iran - è stato il rivale principale di Rohani nelle elezioni del 2017 ed è ritenuto il candidato di punta del fronte ultraconservatore alle elezioni di giugno. Raisi ha dichiarato di candidarsi sulla scia di una forte "richiesta pubblica" e di correre "per portare un cambiamento nella gestione del Paese": il fronte conservatore e quello ultraconservatore ha già annunciato di appoggiarlo. Ha promesso di ingaggiare "una battaglia contro la povertà, la corruzione, l'umiliazione e la discriminazione", tra gli slogan principali della sua campagna elettorale già quattro anni fa.
Larijani - ex segretario generale del Consiglio supremo di Sicurezza nazionale e conservatore diventato poi moderato - ha subito lanciato il guanto di sfida a Raisi e agli altri aspiranti presidente con background militare. "L'economia non è una guarnigione, né un tribunale da gestire con urla e ordini", ha dichiarato in conferenza stampa indicando nella ripresa dell'economia colpita dalle sanzioni americane la priorità della sua possibile amministrazione.
Larijani - già candidato presidente nel 2005 quando vinse l'ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad - è un sostenitore dell'accordo sul nucleare del 2015, che l'attuale governo sta cercando di mantenere in vita dopo l'uscita unilaterale degli Usa di Trump dall'intesa nel 2018. A Vienna, sono in corso delicati negoziati tesi a riportare Washington nell'accordo e Teheran al rispetto pieno degli obblighi, a condizione della revoca delle sanzioni.
Tra gli altri potenziali candidati, diverse figure che vengono dalle fila dei Guardiani della Rivoluzione, il corpo paramilitare con enorme controllo anche dell'economica del Paese e che però potrebbero decidere di appoggiare Raisi. Per il fronte riformista proveranno a candidarsi Mohsen Hashemi Rafsanjani, figlio maggiore dell'ex presidente defunto Akbar Hashemi Rafsanjani e il vice presidente Eshaq Jahangiri; ritenta la sfida anche Ahmadinejad, la cui candidatura non era stata approvata già nel 2017.