AGI - Nel 2020 sono stati 29 i Paesi nel mondo che hanno chiuso o limitato l'accesso Internet per un totale di almeno 155 episodi. Sono i dati dell'ultimo rapporto pubblicato da AccessNow, organizzazione no-profit fondata nel 2009 per difendere ed estendere i diritti digitali delle persone.
Secondo il documento ci sono stati 28 blocchi completi, occasioni in cui le autorità hanno disabilitato sia la banda larga che la connettività mobile. Per il terzo anno consecutivo è l'India il Paese che guida questa classifica con 109 casi, di cui il 90% nel Kashmir.
In Africa i Paesi coinvolti sono stati Burundi, Ciad, Etiopia, Guinea, Kenya, Mali, Sudan, Tanzania, Algeria, Egitto, Togo e Uganda. In Asia e nel Pacifico, invece, le limitazioni si sono verificate in Bangladesh, Kirghizistan, India, Myanmar, Pakistan e Vietnam.
I casi in America Latina e Caraibi hanno riguardato Cuba, Ecuador e Venezuela mentre in Europa solo Bielorussia e Azerbaijan. Infine, in Medio Oriente e Nord Africa, i blocchi sono stati imposti dai governi di Iran, Iraq, Giordania, Siria, Turchia e Yemen.
Molti blocchi sono avvenuti in coincidenza con palesi violazioni dei diritti umani. Come in Bielorussia, durante le proteste per i risultati delle elezioni elettorali vinte da Alexander Lukashenko, quando Minsk ha bloccato social media come WhatsApp, Telegram, Viber e Twitter, nonché VPN e browser come Tor.
Episodi simili, In Etiopia, hanno riguardato gli scontri nell'area del Tigré: cento milioni di persone sono rimaste in un completo blackout mediatico per due settimane a seguito delle proteste dopo l'uccisione del musicista Haacaaluu Hundeessaa.
In altri casi si è verificato quello che viene chiamato "strozzamento", ovvero il deliberato rallentamento della rete. Uno dei più noti ha colpito la comunità Rohingya in Myanmar e in Bangladesh dove i campi profughi sono stati tagliati fuori dall'accesso all'alta velocità di navigazione per 415 giorni. Un'altra limitazione importante, infine, è stata registrata durante i conflitti tra Azerbaigian e Armenia nel Nagorno-Karabakh o in quelli in Siria e Yemen.
La lotta alle "fake news" o ai "contenuti illegali", secondo il rapporto, sono diventate mere giustificazioni per isolare cittadini e limitare l'accesso al web, come avvenuto in India, Etiopia e Vietnam. Le ragioni effettive delle chiusure derivano, invece, da eventi di instabilità politica, elezioni, proteste, violenze collettiva, controllo delle informazioni e brogli elettorali.
AccessNow ha voluto ricordare come quello appena vissuto sia stato un anno particolare con la pandemia da coronavirus che ha amplificato le conseguenze del mancato accesso a Internet. "Sono blocchi pericolosi" si legge "perché quando vengono attuati durante una pandemia, una protesta o un conflitto, possono avere conseguenze mortali".
"Siamo estremamente preoccupati - ha affermato Raman Jit Singh Chima, consulente internazionale senior e direttore delle politiche per l'Asia del Pacifico di AccesNow - per come le autorità governative stiano utilizzando le chiusure di Internet come strumento sistematico per reprimere l'espressione democratica, anche nel mezzo di una pandemia globale".