AGI - Doveva essere il successo della condivisione e della solidarietà europea, la strategia di acquisto comune dei vaccini gestita direttamente da Bruxelles. E per qualche mese lo è stato. Ma ora, con i ritardi delle consegne che si accumulano, la lentezza burocratica delle autorizzazioni e, soprattutto, le campagne vaccinali a singhiozzo di alcuni Stati membri, tutto torna in discussione.
A fare saltare il tavolo questa volta è il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, che riconosce "in linea di principio" la correttezza della politica comune di approvvigionamento dell'Ue ma critica l'Agenzia europea per i medicinali (Ema) perché "troppo lenta" nell'approvare i vaccini e per le "strozzature nella produzione delle dosi".
Soluzione? Voltare le spalle all'Ue e allearsi con Israele, Paese dei record nelle somministrazioni, per occuparsi insieme della produzione dei vaccini di seconda generazione. Kurz è riuscito a convincere anche la premier danese, Mette Frederiksen, che giovedì sarà con lui a Tel Aviv dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu.
Nel frattempo, l'Ema ha calendarizzato per l'11 marzo una riunione straordinaria per la conclusione del processo di valutazione e quindi la possibile approvazione del vaccino di Johnson & Johson.
"Austria, Danimarca e i membri del gruppo 'First Mover' in futuro non faranno più affidamento sull'Ue e, insieme a Israele, produrranno dosi di vaccino di seconda generazione per far fronte ad ulteriori mutazioni del coronavirus", ha detto chiaramente Kurz. Il gruppo dei First mover si era formato in estate per iniziativa dello stesso Kurz per studiare risposte più celeri alla pandemia. Ne fanno parte Austria, Danimarca, Grecia e Repubblica Ceca, oltre alla Norvegia (che non fa parte dell'Ue), Israele, Australia e Nuova Zelanda.
La mossa di Kurz si basa sulle previsioni di alcuni esperti - da lui citati - secondo cui "nei prossimi anni sarà necessario vaccinare i due terzi della popolazione ogni anno, ovvero più di sei milioni di austriaci".
Il cancelliere austriaco sembra vogliamo spalancare la porta del sovranismo vaccinale che in Ue si stava schiudendo con le fughe in avanti - o di lato - di Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca che avevano già aggirato l'Ema per accogliere i vaccini russo Sputnik V e il cinese Sinopharm.
Ovviamente la mossa non poteva passare inosservata. A Bruxelles la parola d'ordine è minimizzare. Il portavoce della Commissione europea l'ha definita una "scelta legittima" quella di Austria e Danimarca che "può essere di valore aggiunto alla strategia dell'Ue". "Si tratta di sforzi non concorrenti, ma che si rafforzano reciprocamente”, ha spiegato. E nei contratti "nulla osta" avviare colloqui con altri Paesi o case farmaceutiche.
Ma le prime critiche a Kurz arrivano già da Vienna. La presidente dell'associazione austriaca dei produttori di vaccini Renee Gallo-Daniel ha difeso la gestione del processo di approvazione da parte dell'Ema. "La massima priorità dell'Agenzia europea è stata quella di non fare scorciatoie nel processo di approvazione", ha dichiarato. "La cosa importante è che la sicurezza, l'efficacia e la qualità di tutti i vaccini che ci vengono forniti siano controllate, e questo richiede semplicemente tempo", ha detto alla radio pubblica Oe1, ricordando poi che l'Ema ha introdotto un nuovo processo di "revisione progressiva" per accelerare l'approvazione.
Gallo-Daniel ha elogiato la proposta "innovativa" di Kurz per una maggiore produzione interna di vaccini, ma ha ammonito che la creazione di una catena di produzione di vaccini può richiedere "dai cinque ai dieci anni".
Tornando all'Ue, anche il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha ammesso che "qualche ritardo" nella campagna vaccinale "deriva anche da diversi meccanismi di approvazione della Commissione europea rispetto a per esempio il Regno Unito" ma si è detto "affezionato a questi meccanismi autorizzativi così garantisti per la salute dei nostri concittadini perché questo elemento è molto importante". Gentiloni ha invece ricordato "le guerricciole" che ci sarebbero stati tra i vari Paesi Ue senza l'approvvigionamento comune.