AGI - Nuova brusca chiusura degli inquirenti egiziani rispetto alle indagini dei colleghi italiani sul caso Regeni: la procura del Cairo ha respinto le conclusioni della procura di Roma sull'omicidio del giovane ricercatore, avvenuto nel febbraio del 2016, che hanno portato 20 giorni fa alla richiesta di rinvio a giudizio per quattro agenti egiziani.
"La procura ha esaminato le accuse dall'autorità investigativa italiana a quattro ufficiali e un agente di polizia e ha finito per escludere tutto ciò che era stato loro attribuito. Ed è emerso che tutti i sospetti presentati dall'autorità investigativa italiana erano il risultato di conclusioni errate, illogiche e inaccettabili dalle norme penali stabilite a livello internazionale", si legge in una nota dei magistrati egiziani. La magistratura romana, sostengono, si è basata su "fatti e prove errati, che costituivano uno squilibrio nella percezione dei fatti".
La risposta della Farnesina e le altre reazioni
"La Farnesina ritiene che quanto affermato dalla Procura Generale egiziana relativamente al tragico omicidio di Giulio Regeni sia inaccettabile". Lo scrive il ministero degli Esteri in una nota. "Nel ribadire di avere piena fiducia nell'operato della magistratura italiana, continuerà ad agire in tutte le sedi, inclusa l'Unione europea, affinché la verità sul barbaro omicidio di Giulio Regeni possa finalmente emergere", prosegue la nota. La Farnesina conclude auspicando che "la Procura Generale egiziana condivida questa esigenza di verita' e fornisca la necessaria collaborazione alla Procura della Repubblica di Roma".
Amnesty International ha immediatamente reagito, definendo “inaccettabile" la dichiarazione della procura egiziana. “Dovrebbe ritenerla inaccettabile anche il governo italiano dal quale auspichiamo una presa di posizione", ha detto all'AGI il portavoce in Italia, Riccardo Noury. "C'e' di nuovo un palese tentativo delle autorità del Cairo di smarcarsi da ogni responsabilità, attribuendo quanto accaduto a misteriosi soggetti che avrebbero agito per contro proprio", sottolinea Noury, "si torna sull'idea del depistaggio con un'assoluzione da ogni responsabilità". "Dopo cinque anni", fa notare il portavoce di Amnesty, "salta fuori in questa nota che Regeni era stato attenzionato, ma poi disattenzionato, nonostante il suo comportamento fosse ritenuto sospetto". La posizione della procura egiziana "conferma l'indisponibilità a collaborare, rilanciando piste diverse che puntano allo stesso obiettivo: l'auto-assoluzione".
Il presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, Erasmo Palazzotto (Leu), ha definito l’ultima mossa del Cairo “una mezza ammissione e insieme un altro vergognoso tentativo di depistaggio. Le autorità egiziane ammettono dopo 5 anni, e dopo che lo ha già dimostrato la Procura di Roma, che pedinavano Giulio Regeni. Ci spieghino perché. Il governo italiano pretenda chiarimenti". Anche il Pd ha definito “inaccettabili” e “irricevibili” le ipotesi della Procura, per bocca del presidente della Commissione Esteri alla Camera Piero Fassino, e del responsabile Esteri del Partito Raffaele Fiano.
Secondo il procuratore del Cairo, “al momento non è noto il responsabile del rapimento, della tortura e dell'uccisione di Regeni". La ricostruzione del magistrato sostiene che il comportamento di Giulio Regeni in Egitto "era sospetto" e per questo finì nel mirino prima degli agenti, "che lo hanno scagionato", e poi probabilmente dei "responsabili del suo rapimento e della sua uccisione" con l'obiettivo di incolpare le autorità egiziane.
"Il comportamento della vittima, non coerente con la ricerca che stava conducendo, è stato un motivo sufficiente per i servizi di sicurezza per esercitare il loro lavoro e il loro dovere legale di seguirlo attraverso procedure di indagine amministrativa che non limitavano la sua libertà o violavano la sacralità della sua vita privata, dopo che si è messo in condizione di essere sospettato", si legge nella nota. "E' stato confermato che, nonostante questo comportamento sorprendente, le indagini hanno concluso che le sue azioni non costituivano reati contro la pubblica sicurezza. Pertanto, le indagini su di lui si sono interrotte a questo punto e non sono state prese misure legali nei suoi confronti", si legge ancora.
"Persino la denuncia nei suoi confronti era diventata di dominio pubblico - prosegue il documento dei magistrati - E’ stata sfruttata da una persona sconosciuta e determinata a commettere il suo crimine sulla vittima, scegliendo il 25 gennaio 2016, sapendo che la ‘sicurezza egiziana’ era impegnata in quel momento nel garantire installazioni vitali. La vittima è stata rapita, detenuta e torturata fisicamente per apporre l'accusa al personale di sicurezza egiziano. E in concomitanza con la visita nel Paese di una delegazione economica, la vittima è stata uccisa e il suo corpo è stato gettato in un luogo vitale vicino a importanti strutture della polizia", conclude la ricostruzione egiziana.
Il 10 dicembre, la procura di Roma aveva concluso le indagini sulla scomparsa del giovane, rapito a fine gennaio, torturato e ucciso e ritrovato all'inizio di febbraio. Il procuratore Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco hanno contestato a vario titolo ai quattro agenti il reato di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio. Per un quinto agente i pm capitolini hanno chiesto l'archiviazione.