AGI - La sorte della direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, è legata a un possibile accordo tra i suoi avvocati e funzionari del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. Gli Usa sarebbero disposti a lasciarla tornare in Cina, in cambio dell’ammissione di illeciti da lei commessi nel processo a cui è sottoposta in Canada.
I colloqui tra il team legale di Meng e i funzionari di Washington sono stati svelati dal Wall Street Journal, che cita fonti al corrente della situazione, alcune delle quali affermano che, finora, la direttrice finanziaria del colosso delle telecomunicazioni di Shenzhen non avrebbe accettato la proposta.
Un epilogo “a lieto fine” della vicenda giudiziaria di 'lady Huawei' - in coincidenza con il termine dell’amministrazione Usa guidata da Donald Trump - potrebbe anche spianare la strada al rientro in Canada dei due cittadini canadesi arrestati in Cina pochi giorni dopo l’arresto di Meng a Vancouver: l’ex diplomatico Michael Kovrig e l’uomo d’affari Michael Spavor, ufficialmente incriminati per spionaggio a giugno scorso.
Meng è stata arrestata all’aeroporto di Vancouver il 1 dicembre 2018 su richiesta degli Stati Uniti che ne chiedono l’estradizione per frode bancaria e violazione delle sanzioni all’Iran, destando la rappresaglia, mai considerata ufficialmente tale da Pechino, ai danni dei due canadesi, detenuti e in attesa di processo in Cina. Per Pechino Meng è “innocente e non ha commesso nessuno dei reati di cui la accusano Canada e Stati Uniti”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, senza citare la possibilità di un accordo per il suo ritorno in Cina: il processo ai danni della direttrice finanziaria di Huawei è “un grave incidente politico” che mira a realizzare il disegno degli Stati Uniti di reprimere le aziende dell’high-tech cinese, di cui Ottawa è “complice”.
L’atmosfera tra Pechino e Washington è più che mai tesa nell’ultimo scorcio di presidenza Usa targata Donald Trump: il direttore della National Intelligence Usa John Ratcliffe, in un articolo sul Wall Street Journal ha definito la Cina “la più grande minaccia all’America di oggi e alla democrazia e alla libertà nel mondo dal Seconda Guerra Mondiale”.
Per Pechino è soltanto “un miscuglio di bugie”, ma il clima si fa ancora più rovente, proprio sul piano tecnologico, dopo l’inclusione di altre quattro aziende nella black list Usa delle aziende ritenute in legami con le Forze Armate cinesi, tra cui figurano anche il gigante dei semiconduttori Smic e il colosso del greggio offshore China National Offshore Oil Corporation (Cnooc), entrambi negativi in chiusura alla Borsa di Hong Kong: il titolo Smic ha perso il 5,41%, mentre Cnooc ha ceduto il 3,90%.
In attesa di un accordo, le udienze del processo a Meng Wanzhou sono riprese la settimana scorsa alla Corte Suprema della British Columbia, dove gli avvocati della Cfo di Huawei puntano a dimostrare violazioni dei diritti della loro assistita negli eventi che hanno portato al suo arresto. Meng, figlia del fondatore di Huawei Ren Zhengfei, è stata rilasciata su cauzione pochi giorni dopo l’arresto, ma non può lasciare il Canada.
Anche se un accordo per permettere a Meng di tornare in Cina contribuirebbe ad allentare la tensione diplomatica con il Canada, i rapporti tra Pechino e Ottawa sono da tempo deteriorati: nelle scorse settimane, il primo ministro canadese, Justin Trudeau ha affermato chiaramente di non avere mai avuto alcun “rimpianto” per l’arresto della direttrice finanziaria di Huawei, difendendo lo stato di diritto in Canada e l’alleanza con gli Stati Uniti.