AGI - Dal coronavirus all'Afghanistan, è ormai scontro continuo tra Australia e Cina e un tweet ha infiammato l’escalation di tensione tra i due Paesi, dopo che Canberra ha riconosciuto che le forze speciali uccisero in Afghanistan 39 civili tra il 2005 e il 2016. Il primo ministro australiano, Scott Morrison, ha attaccato il ministero degli Esteri cinese per un post del portavoce, Zhao Lijian, accompagnato da una foto che mostra la foto (ritoccata secondo i media) di un soldato australiano mentre porta un coltello sporco di sangue alla gola di un bambino afghano, e di cui ha chiesto la rimozione a Twitter.
Il tweet è “assolutamente oltraggioso e ingiustificabile sotto ogni punto di vista”, ha dichiarato Morrison. “Il governo cinese dovrebbe vergognarsi di questo post. Lo sminuisce agli occhi del mondo”. L’Australia, ha aggiunto, ha stabilito un processo “onesto e trasparente” per le indagini sulle accuse di brutalità contro i propri soldati in Afghanistan, “e questo è quello che fa un Paese libero, democratico e liberale”. La ministra degli Esteri, Marise Payne, ha definito il tweet un “oltraggioso esempio di disinformazione” e ha comunicato di avere convocato l’ambasciatore cinese per scuse formali.
Nessuna marcia indietro è arrivata però da Pechino, che ha gettato, invece, benzina sul fuoco. La Cina chiede le scuse ufficiali di Canberra al popolo afghano per le “atrocità” commesse dai soldati australiani. “Il governo australiano dovrebbe portare gli assassini di fronte alla giustizia e porgere scuse ufficiali al popolo afghano per l’uccisione di innocenti civili afgani da parte dei soldati”, ha dichiarato una portavoce del ministero degli Esteri, difendendo l’immagine postata da Zhao. Il portavoce ha in seguito riportato alcuni commenti di due opinionisti a conferma del proprio tweet, in uno dei quali viene citata una pagina di un rapporto australiano, forse il rapporto Brereton sull’operato dei soldati delle forze speciali in Afghanistan. “L’Australia reagisce duramente al tweet del mio collega”, ha proseguito la portavoce. “Questo significa che la crudele uccisione di vite afgane è giustificata?”.
Cina e Australia sono piombate al punto più basso delle loro relazioni in pochi mesi, dopo l’insistenza di Canberra per un’inchiesta indipendente sull’origine del coronavirus responsabile della pandemia di Covid-19, che si è manifestato per la prima volta a Wuhan.
La disputa tra i due Paesi dell’Asia-Pacifico si trascina da anni, prendendo le mosse dai sospetti australiani di infiltrazione politica e arrivando a comprendere anche altri settori della cooperazione, come l’esclusione di Huawei dalla gara per il 5G in Australia, già nel 2018. Le ultime settimane sono state particolarmente dense di polemiche: diplomatici cinesi hanno presentato una lista di 14 rimostranze contro il governo australiano sulle quali Canberra, respinta nettamente da Morrison. La tensione con la Cina è sfociata da mesi in una guerra commerciale e un’ulteriore escalation si è verificata proprio nei giorni scorsi. Venerdì, la Cina ha imposto dazi anti-dumping sulle importazioni di vino australiano dal 107,1% al 212,1%, in seguito a un’indagine lanciata ad agosto scorso: l’imposizione di tariffe sul vino australiano si aggiunge ad altre mosse analoghe, sull’orzo e sulla carne bovina.
Nel clima di forte tensione, sono finiti anche i media: a settembre, gli ultimi due corrispondenti di testate australiane accreditate in Cina (Bill Birtles, dell’emittente televisiva Abc e Michael Smith dell’Australian Financial Review) hanno lasciato il Paese con l’aiuto della diplomazia di Canberra, dopo essere stati interrogati dalle autorità cinesi. Pochi giorni prima, un blitz degli agenti dell’intelligence australiana contro alcuni corrispondenti cinesi aveva portato al sequestro di computer e altri device: le indagini vertevano sui possibili legami con uomini di Pechino di un ex-deputato australiano, Shaoquett Moselmane, che avrebbe cercato di influenzare la politica nazionale in chiave pro-Cina.