AGI – I ventuno uomini seduti al banco degli imputati erano ormai l’ombra di quel che erano stati fino a pochi mesi prima, quando potevano disporre con poche parole della morte di milioni di persone.
Il ‘Reichsmarschall’ Hermann Goering – già onnipotente ministro all’Aviazione nonché uno dei principali responsabili della ‘soluzione finale’ – era dimagrito vistosamente e indossava una smunta giacca militare chiara con i bottoni dorati. “Una specie di giubba da chauffeur”, annotava caustico lo scrittore Erich Kaestner.
Qui, nell’Aula 600 del tribunale di Norimberga, dal 20 novembre 1945 fino al primo ottobre 1946 alcuni dei principali responsabili dell’abisso del Terzo Reich furono sottoposti a giudizio dai vincitori della Seconda guerra mondiale: processi multipli, peraltro, che non solo permisero una prima e fondamentale elaborazione giuridica degli orrori compiuti dal nazismo hitleriano a partire dal 1933, ma che, oltreché sottoporli al giudizio di un tribunale internazionale, misero per la prima volta il mondo di fronte ai volti e alle storie di alcuni dei protagonisti più feroci del Terzo Reich.
Non solo il comandante della Luftwaffe Goering oppure il vice di Hitler, Rudolf Hess, ma buona parte della prima fila del potere nazista, ossia figure del calibro di Joachim von Ribbentrop, Albert Speer, Wilhelm Keitel, Alfred Jodl e Julius Streicher furono giudicati e infine condannati dal tribunale militare internazionale a morte oppure a pene decennali.
Contro il male
Tre degli imputati vennero assolti, tra questi l’ex cancelliere della Repubblica di Weimar, Franz von Papen. Seguirono ben dodici processi annessi.
“I misfatti che cerchiamo di giudicare e punire erano così sofisticati, così malvagi e di tale effetto devastante che la civiltà umana non può tollerare che vengano ignorati, altrimenti non essa non potrebbe sopravvivere a una ripetizione di tali calamità”, scandì alla prima udienza di quel 20 novembre di 75 anni fa nella sua requisitoria il procuratore capo americano Robert H. Jackson.
Che, rivolto a coloro che fino a pochi mesi fa si atteggiavano a divinità del Terzo Reich, ripetè: “Voi siete i simboli viventi dell’odio razzista, del dominio dell’orrore e della violenza”.
Migliaia di pagine di atti
Furono ascoltati oltre 240 testimoni, il protocollo delle udienze superava le 16 mila pagine, agli atti c’erano altre decine di migliaia di testimonianze. Nonostante i milioni di morti, le camere a gas dei campi di concentramento, le vittime della Gestapo e le devastazioni apocalittiche della guerra, Goering, Hess, von Ribbentrop si dichiararono “non colpevoli”.
Suicidi per sfuggire alla giustizia
Ma, com’è noto, non tutti i principali responsabili dell’apocalisse che spaccò in due il Novecento furono processati a Norimberga: Hitler, Goebbels e Himmler morirono suicidi all’arrivo dell’Armata Rossa, Adolf Eichmann e Josef Mengele riuscirono a fuggire in America Latina.
Martin Bormann rimase introvabile, mentre Goering si ammazzò ingoiando nella sua cella una capsula di cianuro poco prima dell’ora della sua esecuzione.
Passaggio cruciale della storia
Oggi gli storici concordano sul fatto che Norimberga sia stato uno dei passaggi cruciali non solo nella storia del Novecento ma anche nella formazione dell’idea che l’Occidente ha di sé in termini di giustizia internazionale, determinazione dei popoli e prevalenza dei principi del diritto sull’autocrazia, tanto che i processi sono considerati il modello per il Tribunale internazionale dell’Aja.
Un passaggio della storia a cui anche Hollywood non ha mancato di pagare il suo tributo, con il kolossal “Vincitori e vinti”, diretto nel 1961 da Stanley Kramer, con un cast stellare che comprendeva Spencer Tracy - nella parte di un anziano giudice americano invitato a presiedere uno dei processi di Norimberga cercando però di comprendere la realtà della Germania post-bellica - ma anche altre star assolute del firmamento hollywoodiano come Marlene Dietrich, Burt Lancaster, Montgomery Clift, Judy Garland.
Terra inesplorata
In realtà fu sin dalle sue prime battute che l’aspetto mediatico del processo apparve assolutamente cruciale: tutto il mondo doveva assistere ad una manifestazione di giustizia che rappresentava, in un certo senso, la scoperta di una terra inesplorata.
I cinegiornali diffondevano massicciamente le immagini dall’Aula 600 di Norimberga, si moltiplicavano le testimonianze raccapriccianti dai campi di concentramento, così come profondissima impressione lasciarono le prime immagini filmate realizzate dagli Alleati durante le liberazioni dei lager.
Il racconto dei grandi scrittori
E non è certo un caso se a raccontare il processo si fossero affollati nel tribunale di Norimberga scrittori come Ernest Hemingway e John Steinbeck, ma anche Erika Mann (la figlia del grande Thomas), Alfred Doeblin e sinanche il futuro cancelliere tedesco Willy Brandt, che scriveva i suoi dispacci per conto di alcuni giornali scandinavi.
Nondimeno, il fatto che le potenze vittoriose della guerra giudicassero i vincti non solo venne ovviamente impugnato dalla difesa degli imputati, ma fu oggetto di un aspro dibattito nelle opinioni pubbliche occidentali.
La critica più diffusa era quella che gli orrori del nazismo sembrassero confinarsi alla responsabilità di pochi individui ai diretti ordini del Fuehrer, mentre non veniva pienamente messa a fuoco - come sottolineato finanche da Raphael Lemkin, il grande giurista polacco che non solo era uno dei principali consulenti del procuratore Jackson, ma fu colui che coniò il concetto di genocidio proprio nella forma che fece da base giuridica di Norimberga - il complesso e angoscioso fenomeno dell’adesione di massa dei tedeschi agli abissi hitleriani.
I crimini dei vincitori
Di contro, la difesa rimase abbarbicata alla teoria – per la verità non destinata a gran successo - che anche gli Alleati avevano compiuto crimini di guerra e che l’assumersi le prerogative di soggetto giudicante non avesse una reale legittimità.
Erano stati gli Usa a imporre un procedimento giuridico internazionale di ampio respiro, mettendo insieme una Corte fondata dai rappresentanti delle quattro potenze vincitrici, imponendosi su chi, tra gli Alleati, si era detto favorevole a processi brevi e rapide esecuzioni.
In effetti la decisione di sottoporre a processo i responsabili degli orrori del Terzo Reich era stata presa prim’ancora della fine del conflitto, ovvero alla terza conferenza tripartita di Mosca che si svolse dal 18 ottobre all’11 novembre del 1943 nella capitale sovietica. Le imputazioni erano quattro ed erano sintetizzate al massimo: cospirazione per commettere crimini contro la pace; aver pianificato, iniziato e intrapreso delle guerre d’aggressione; aver commesso crimini di guerra; aver commesso crimini contro l’umanità, comprendendovi il genocidio.
Perché Norimberga
Perché Norimberga? Certo, da una parte la decisione fu presa per motivi pratici: intanto, la città bavarese era meno devastata dai bombardamenti alleati rispetto alle macerie in cui era ridotta la maggior parte delle altre città tedesche, con diversi palazzi di giustizia ancora in piedi.
Ma vi era anche un aspetto simbolico importante: Norimberga aveva avuto un ruolo cruciale nella propaganda del Terzo Reich, e fu qui che furono annunciati le leggi razziali nel 1935.
I giudici erano stati scelti tra autorevoli giuristi americani, britannici, francesi e sovietici, così come anche l’accusa era composta da rappresentanti da ciascuna potenza vincitrice. Tra i testimoni non solo sopravvissuti dell’orrore nazista, ma anche alcuni dei principali responsabili dell’Olocausto, tra cui il comandante di Auschwitz, Rudolf Hoess.
Furono 218 le udienze, che terminarono il primo ottobre 1946. Dieci condanne a morte vennero eseguite appena quindici giorni dopo. I cadaveri furono poi cremati nei forni del lager di Dachau e le loro ceneri gettati in un piccolo corso d’acqua, il Wenzbach.
La Storia aveva iniziato a voltare pagina: ma certo non aveva finito di fare i conti con le ferite immense lasciate dal cuore oscuro dell’Europa.