AGI - Nella sua battaglia per rimanere alla Casa Bianca, il presidente Usa, Donald Trump, non ha la facoltà di ricorrere direttamente alla Corte Suprema federale, dove al momento siedono 6 giudici conservatori e tre progressisti; e tantomeno la Corte Suprema federale ha interesse a politicizzare e avocare a sè la decisione finale nel duello finale per l'elezione del 46esimo presidente Usa.
Nell'analisi di Francesco Clementi, docente di diritto pubblico comparato all'Università di Perugia, è questa la 'fotografia' delle carte che Trump può ancora giocarsi per rimanere alla Casa Bianca. "L'argomento delle frodi e dei brogli può trovare fondamento solo se ci sono prove, che un giudice ritiene tali. E tali prove, eventualmente, vanno presentate innanzitutto di fronte ai tribunali degli Stati, i soli che possono consentire a Trump e ai suoi legali di ricorrere fino alle rispettive Corti supreme: così, se quelle Corti supreme gli sbarrano la strada non ci sono alternative, a meno che Trump e i suoi legali non si appellino - a quel punto, e solo a quel punto, cioè dopo aver esperito tutti i passi dell'iter legale all'interno dei sistemi giudiziari degli Stati - alla Corte Suprema federale. Quest'ultima, tuttavia, può decidere di non accettare il conflitto, rigettando la richiesta, ritenendola non fondata. Oppure, al contrario, avocare la questione a sè, accettando il conflitto. Al momento, tuttavia, stante il quadro che si va formando, ritengo questa ipotesi poco probabile".
Clementi spiega così i prossimi passi della campagna Trump: "Gli avvocati del presidente dovranno quindi esperire innanzitutto tutti gli insidiosi passaggi giuridici all'interno di uno Stato se vogliono poi arrivare - come sostiene il Presidente Trump - fino alla Corte Suprema". In questo senso, "appare improbabile - continua il docente - riscontrare uno scenario simile a quello che si ebbe nel 2000 in Florida, quando fu la Corte Suprema ad assegnare la vittoria finale al repubblicano George W. Bush contro Al Gore" proprio perché - sottolinea Clementi - "non credo che la Corte Suprema federale abbia interesse ad avocare a sè la scelta, gettandosi nell'agone politico fino a questo punto. Un esito simile, infatti, getterebbe anche la Corte, e l'intero potere giudiziario, nel pieno del fortissimo conflitto politico che attualmente vediamo negli Stati Uniti".
Se non trascinati per i capelli, dunque, i giudici della Corte Suprema si terranno fuori dall'attuale contesa. "E a maggior ragione - osserva Clementi - perché ci sono sei giudici conservatori e tre democratici. Il dilemma del prigioniero è già scritto: se assegnano la vittoria a Trump sarebbero accusati di essere di parte; se non lo fanno, si attirerebbero il disdoro dei repubblicani, che da ultimo hanno rafforzato la loro presenza con la legittima nomina - ma fortemente contestata politicamente - della giudice Amy Corey Barrett. Per cui oserei dire che i giudici cercheranno di allontanare da sè questo tema caldo. Se giocassimo a baseball direi che è una palla troppo calda: così calda che è meglio schivarla, facendola passare".
Il sistema di gestione del sistema elettorale in Usa è tutto decentrato - spiega ancora Clementi - così come è decentrato il suo controllo, e la campagna di Trump ha già cominciato a far partire le cause negli Stati in bilico e contestati.
"In 43 Stati su 50 ci sono leggi che consentono il riconteggio dei voti; inoltre in 20 su 50 sono in vigore leggi che consentono il riconteggio automatico, quando la forchetta di voti tra i due candidati è molto bassa. Il puzzle della definizione del numero dei grandi elettori dipende dunque da 50 sistemi giuridici diversificati in ciascuno Stato".
Gli Stati che normalmente procedono al riconteggio, sono gli 'Swing State', osserva ancora, "ossia quelli in cui il risultato è tradizionalmente molto ravvicinato, ma sono anche quelli che hanno un'amministrazione di controllo più efficiente, numericamente più attrezzata, proprio perché storicamente sono i più abituati a procedere al riconteggio. La particolarità di queste elezioni, invece, è che oggi tra gli Stati in bilico non ci sono solo gli Stati classicamente "swinging", ma anche Stati nuovi come Arizona e Georgia: Stati cioè con una consolidata tradizione politica e dunque nei quali l'amministrazione burocratica statale, ossia quella che è chiamata a governare e a controllare il processo elettorale, è meno attrezzata, con meno mezzi, uomini e strutture proprio perché di solito il riconteggio, in quelle realtà, non serve. Ed è anche per questo quindi che, in queste ore, il conteggio va a rilento".