AGI - La campagna è quello che si vede. E si conta, si pesa, ma solo alla fine. I sondaggi sono utili, ma non sono il final cut della storia. Le opinioni sono importanti, ma non sono il verdetto. Se la campagna è quello che si vede, allora Donald Trump qui a Nashville ha vinto il dibattito che ieri aveva perso a Cleveland. Se la campagna è quello che si vede, la battaglia per la Casa Bianca non è chiusa. Se la campagna è quello che si vede, Biden vorrebbe solo finirla qui, perché ogni giorno che passa lui dissipa l'enorme vantaggio che gli ha consegnato il coronavirus.
(Foto: JIM WATSON, BRENDAN SMIALOWSKI, MORRY GASH / AFP / POOL)
La Cnn e YouGov dicono che Joe ha vinto il dibattito contro The Donald, sarà certamente così, come accadde nel 2016 - Trump nei sondaggi, nei penetranti ragionamenti degli editorialisti, perdeva regolarmente qualsiasi confronto, non c'era storia, Hillary era pre-destinata alla Casa Bianca. Poi il biondo phonato di Manhattan vinse semplicemente le elezioni, che sbadati, cose che capitano.
Il mainstream non ha dubbi
A Nashville il copione si ripete (e non è detto che l'esito finale sia lo stesso, sia chiaro): per il mainstream non ci sono dubbi, Biden è un cavaliere bianco e Trump è quello nerissimo, dunque anche quando Joe strabuzza gli occhi che diventano vitrei, anche quando finisce più volte all'angolo sulla storia delle email del figlio Hunter, anche quando guarda l'orologio perché non vede l'ora che il dibattito finisca (lo stesso errore commesso da George Bush senior nel 1992 contro Bill Clinton), anche quando non c'è, è chiaro che il democratico ha una fine strategia, dunque Biden vince.
Per i vostri cronisti, ha vinto Trump che per una volta non è stato il solito Trump. Misurato, ordinato, quasi istituzionale (se mai fosse possibile esserlo per uno come The Donald), puntuale negli interventi, ironico ma senza strafare, perfino nelle espressioni del viso era controllato. Questa sua nuova interpretazione di se stesso, è la strategia del rush finale, si è già vista anche nei comizi, dove è più "piacione" che mai.
(Foto: JIM WATSON, BRENDAN SMIALOWSKI / AFP)
I numeri, dicevamo, bisogna leggere bene anche quelli, soprattutto pesarli alla luce del contesto storico, non solo nelle medie aritmetiche, perché il popolo, gli elettori, non vivono nella media, stanno sopra o sotto la media. Dunque nella media nazionale di Real Clear Politics Trump è indietro di 7,9 punti, ma nei Battleground States Joe ha solo 4,1 punti di distacco e negli Stati che servono per vincere la presidenza la faccenda è molto complicata. Per sapere, per capire, per cercare di leggere la parabola finale bisogna prestare attenzione al sudoku elettorale di Trump.
Secondo Whit Ayres, analista repubblicano citato da Associated Press, il più probabile percorso per il (ri)trionfo di Trump sarebbe questo: vincere in Florida e Pennsylvania (cosa possibile), tenendo il punto in altri Stati della Sun Belt come North Carolina e Arizona, e giocando in difesa in Georgia e Ohio, dove ebbe la meglio nel 2016 anche se Biden qui oggi sembra più competitivo di quanto lo fosse Hillary Clinton. Risultato, se Trump fa questo giro della morte, vince.
Tutte le strade portano in Florida
Ecco perché vanno in tutti in Florida: oggi c'è Trump, domani c'è Obama. Nello Stato del Sole, i democratici finora dominano il voto in anticipo, con un vantaggio (stima fino a ieri, giovedì) di 10 punti con 463 mila schede depositate. Allo stesso modo, il margine di vantaggio dei dem risulta importante in Arizona (16 punti), Michigan (24 punti), North Carolina (14 punti), Pennsylvania (46 punti) e Wisconsin (42 punti). Sono numeri strabilianti, un'onda blu in anticipo, ma è consigliata la prudenza.
I dati sono elaborati da Hawkfish e lo stesso amministratore, Josh Mendelsohn, avverte: l'attesa è per una maggior propensione dei repubblicani a riversarsi in massa alle urne il 3 novembre. Nota bene: Hawkfish non e' un pericoloso covo di repubblicani, è un'impresa finanziata da Michael Bloomberg, avversario numero uno di Trump. Dunque la battaglia non solo non è chiusa, ma potrebbe autoribaltare tutti i pronostici.
La collisione tra due Americhe
I numeri vanno pesati, guardati in controluce, bisogna tenerli in gran conto, studiarli e poi metterli da parte per non camminare su un terreno sconosciuto e finire in una botola. La corsa è pazza e inedita, il coronavirus ha curvato le abitudini degli elettori, siamo di fronte alla collisione di due mondi, le due Americhe.
Sono 49 milioni gli americani che hanno già votato (dati di US Elections Project, università della Florida), pari al 36% dell'affluenza totale del 2016. Per chi suona la campana? Abbiamo visto che il voto anticipato nei Swing States è di segno democratico, ma ora sappiamo anche che i "trumpians" si stanno tenendo la pallottola d'argento in canna per il 3 novembre, dunque i sondaggi potrebbero sovrastimare i dem ben al di là dei margini di errore.
Quello che viene chiamato "turn out data" va letto e combinato con altri fattori d'analisi, perché i numeri del voto in anticipo non fotografano il risultato finale che è un'opera in fieri, il futuro si sta scrivendo in queste ore. Avvisa Scott Reed, altro stratega repubblicano: "Le parti si preparano per una gara ravvicinata e una gigantesca onda rossa di repubblicani che andranno a votare in persona il 3 novembre".
Possibile? Se la campagna è quello che si vede - e noi ne abbiamo coperta parecchia - allora va ascoltato chi, come Trump, prevede una tempesta repubblicana al seggio ("una tuonante vittoria"). Facciamo scorta d'inchiostro, il finale è ancora da scrivere e potrebbe essere in due tempi: l'onda blu e lo tsunami rosso.