AGI - Nel 2019, la fine del proto-Stato islamico in Iraq ha fatto credere a molti che la minaccia del terrorismo fosse diminuita, addirittura scomparsa. La decapitazione del professor Samuel Paty, l'attentato all'ex sede di Charlie Hebdo e altri fatti recenti di cronaca dimostrano proprio il contrario: questa minaccia si è trasformata, si è riconfigurata e pone la Francia di fronte a una sfida epocale su più fronti e sempre più complessa. Lo dice all'AGI Anne-Cle'mentine Larroque, storica ed esperta di islamismo, docente a Sciences Po Parigi, profondamente colpita dall'omicidio dell'insegnante ucciso venerdi' scorso da un ceceno 18enne, Abdullakh Anzorov, che voleva punirlo per aver mostrato in classe una caricatura di Maometto.
Lo scorso 25 settembre, a sferrare un attacco all'arma bianca vicino all'ex sede di Charlie Hebdo era stato un 25enne pachistano, Zaheer Hassan Mehmood, arrivato nel Paese come minore non accompagnato. "Sin dalle origini la minaccia terroristica in Francia è stata collegata a territori esterni. Va ricordato che la culla storica di questa minaccia è la regione dell'Afghanistan e del Pakistan, a partire dalla guerra afgana del 1979-1989. Successivamente si sono aperti altri fronti, sia in Medio Oriente che in Africa, e poi sullo stesso territorio francese", commenta Larroque.
La 'macchia' del colonialismo
A questo quadro globale già complesso, si sono aggiunti alcuni fattori propri della Francia, degli 'aggravanti' in quanto ex potenza coloniale tutt'ora in prima linea nel Continente africano, con varie missioni militari tra l'altro nel Sahel, oltre che Paese di arrivo di ingenti flussi migratori. Secondo l'esperta, i due ultimi clamorosi attacchi terroristici sono la prova che oggi dei cittadini stranieri stabiliti sul territorio francese possano entrare in azione in qualsiasi momento per contribuire a concretizzare la causa jihadista, senza essere per forza affiliato ad un'organizzazione terroristica.
"Un passaggio - dice Larroque - che si è verificato con la mediatizzazione della propaganda sui social, con la mondializzazione della causa jihadista che potenzialmente porta ad agire un numero maggiore di persone che vivono fuori dalle zone attive della jihad (Afghanistan, Sahel), attuando il modus operandi predicato dall'ideologia stessa", prosegue Larroque, nel sottolineare che ormai il registro ideologico esula dall'adesione a un gruppo terroristico.
"Nei casi di Anzorov e Mehmood le inchieste in corso risponderanno alla domanda sulla loro eventuale adesione, o meno, a un'organizzazione terroristica. E' ancora presto per pronunciarsi", puntualizza la docente di Storia. Analizzando in una prospettiva più ampia la presenza di individui e gruppi potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale, Larroque evidenzia che dagli attentati di Notre Dame nel 1995 e poi dopo il passaggio simbolico dell'11 settembre, in Francia i vari gruppi islamisti presenti hanno tessuto una vera e propria ragnatela e negli ultimi 30 anni ne hanno rafforzato la maglia, in più settori della vita socio-culturale.
"Di fatto sul territorio francese ci sono diversi gruppi islamisti ben identificati dalle autorità. Non tutti hanno le stesse rivendicazioni, ma potenzialmente hanno collegamenti con organizzazioni esterne 'leader'", continua l'analista. Del resto solo poche settimane fa, il responsabile dell'antiterrorismo, Laurent Nunez, aveva riconosciuto che in Francia la minaccia terroristica cresce, resa più complessa dalla presenza sul territorio nazionale di individui non sempre noti all'intelligence che poi entrano in azione spinti dalla propaganda dell'Isis o di altri.
"E' proprio questo il nodo. La Francia è un territorio di accoglienza, con apposite strutture, e ha una cultura dell'accoglienza. Ci sono molti cittadini stranieri immigrati in Francia, ci sono dei rifugiati che non hanno nulla da perdere. Ci sono anche dei franco-marocchini, franco-algerini e franco-tunisini che rientrano dalla jihad nei territori fulcro a migliaia di chilometri di distanza", spiega Larroque, tracciando il quadro complesso delle presenze a rischio.
Il bisogno di identità
Nel caso del 18enne ceceno che ha decapitato il professore l'esperta collega la capacità ad entrare in azione al vuoto di identità, o meglio alla volontà di iscrivere la propria identità nel mondo occidentale. "Nel caso dei ceceni, dopo 10 anni di lotta contro i russi, la loro battaglia separatista, nazionalista, è confluita nella causa jihadista sposandone il modus operandi e usufruendo anche di mezzi dati da questi", aggiunge la docente universitaria.
In Francia, negli ultimi 30 anni, il terreno fertile all'espansione dell'islamismo è stato anche la scuola, i club sportivi, i centri culturali, attraverso i quali e' riuscito a radicarsi nella società. "Il fatto che il bersaglio dell'attacco sia stato un insegnante è davvero emblematico: nel mirino dei jihadisti e dei loro simpatizzanti c'e' proprio la conoscenza, il sistema di pensiero occidentale", osserva Larroque.
Un attacco al sistema di pensiero occidentale
"In questo caso è stato un attacco frontale ai valori repubblicani: la libertà di potersi esprimere, la libertà di insegnare", dice ancora l'esperta francese, autrice in Italia della "Geopolitica dell'islamismo" (ed. Il Fuoco). "Sin dagli anni 60-70' il salafismo è entrato nelle nostre società per dimostrare che le nostre referenze, che il nostro sistema di pensiero sono sbagliati, con la volontà di erigere il sistema di pensiero salafo-wahhabita a riferimento primario nel mondo, per affermare così il proprio soft power saudita (con la Lega islamica mondiale)", valuta Larroque in una prospettiva mondiale.
Una battaglia combattuta ad esempio in Nigeria - Paese mai colonizzato dalla Francia - dove il gruppo terrorista Boko Haram - letteralmente 'Il libro vietato', poi tradotto in lingua Hausa come 'l'educazione occidentale è peccato' - rapisce studentesse e attacca spesso le scuole in quanto simbolo del sistema di pensiero occidentale, della liberta' di espressione ma anche luogo che dà la possibilità di coltivare una versione differente del mondo.
In Francia negli ultimi mesi si sono verificati diversi fatti di cronaca apparentemente scollegati tra di loro - studentessa aggredita a Strasburgo perché indossava una gonna, crescenti tensioni inter-comunitarie a Dijon tra ceceni e maghrebini, minacce di morte alla liceale Mila per le sue critiche all'islam estremista - che Larroque ricollega, invece, a una sfida epocale del Paese: il confronto tra l'affermazione di identità molto forti che rimette in discussione le leggi vigenti, il patto e i valori repubblicani. "Nel nostro Paese le grandi battaglie femministe sono state combattute, le leggi di memoria varate, il riconoscimento dei popoli dei Paesi colonizzati è stato compiuto.
Pensavamo che ciò fosse sufficiente, che l'offerta liberale fosse ben affermata - analizza la docente di storia - Eppure, invece di beneficiare di questa libertà, alcuni gruppi di certe comunità hanno bisogno di affermare una loro identità più forte di quanto proposto dal patto repubblicano. Dobbiamo riconoscere che questo patto repubblicano non conviene a tutti e dobbiamo affrontare il problema".
Allontanando ulteriormente la lente d'ingrandimento dallo scenario francese, Larroque considera che il mondo occidentale in generale è entrato in una fase post moderna della secolarizzazione, una fase transitoria caratterizzata anche da una crisi del linguaggio, dell'espressione, in buona parte scaturita dai social, che consentono a chiunque ed ovunque di esprimersi mentre i grandi simboli stanno scomparendo.
Social e libertà di espressione
"L'ideologia islamista sta surfando su questa crisi dell'espressione e da nemica del sistema di pensiero occidentale cerca di uccidere la libertà di espressione, le parole e i simboli, alimentando a sua volta una confusione semantica. Il grande gioco delle organizzazioni terroristiche è proprio quello di manipolare le parole", rileva l'esperta. Una logica in atto sia in Francia, che in altri territori fulcro della jihad.
Ad esempio dopo vari passaggi l'Unione delle organizzazioni islamiche di Francia (Uoif), fondata nel 1983, associazione legata a doppio filo ai Fratelli musulmani, dal 2017 si chiama Musulmani di Francia. Nel Maghreb e nell'Africa occidentale il Gruppo di sostegno all'islam e ai musulmani (Gsim, Jama'a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin) non e' altro che un'organizzazione jihadista militante nata dalla fusione dei gruppi terroristi Ansar Dine, Fronte di liberazione della Macina, Al-Mourabitoun e il Saharan, ramo di Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb islamico). "Dietro le parole e il loro uso strumentale, è in atto una volontà di torcere, di manipolare l'identità musulmana per dare vita ad una nuova civiltà islamista. Un gioco in atto ovunque per erigere le organizzazioni terroristiche a rappresentanti di tutti i musulmani", avverte Larroque.
In risposta a queste sfide, il presidente Emmanuel Macron ha dichiarato guerra al separatismo islamista, definendolo una ideologia che si prefigge di prendere il controllo totale della società. Una stretta del capo di Stato francese che si traduce in un apposito progetto di legge, che verrà presentato il 9 dicembre prossimo in consiglio dei ministri. Al di là delle operazioni di polizia in corso, delle chiusure di moschee e di alcune associazioni, Macron intende rafforzare i controlli su scuole, luoghi di culto, finanziamenti pubblici, formare gli imam in Francia, per "liberare il Paese da influenze straniere", potenziare l'insegnamento della lingua araba nelle scuole pubbliche oltre che migliorare la comprensione dell'islam grazie a nuovi percorsi di studio che favoriscano l'integrazione.
"Effettivamente, da parte delle istituzioni c'è una netta presa di coscienza del problema del separatismo islamista. Non a caso il presidente Macron ha fatto il suo atteso intervento dal territorio simbolo dei Mureaux, comune della banlieue parigina", fa notare Larroque. Al momento in Francia sono operativi dei dispositivi di de-radicalizzazione, ma non è facile 'recuperare' gli elementi già indottrinati. "La soluzione risiede nel salvataggio delle future generazioni. Cio' significa puntare su scuole e formazione per avere un maggiore controllo su tutti i luoghi di socializzazione frequentati dai bambini, per proteggerli dal radicalismo, per evitare la loro ideologizzazione specie in contesti di impoverimento economico, intellettivo e culturale. La strada da percorre è quella di una stretta collaborazione tra tutte le istituzioni e i territori più a rischio" conclude Larroque.