AGI - Signori, si cambia. Dopo “Calamity Cleveland”, il peggior confronto in tv della storia americana, la Commissione per i dibattiti presidenziali (Cpd) decide a sorpresa di modificare regole e format dei due restanti duelli “per garantire una discussione più ordinata sui temi”. Non accadeva da 30 anni. Ci volevano Donald Trump e Joe Biden, come due vecchietti al bar che si lasciano prendere la mano: urlano e si insultano.
Ne è uscito a pezzi anche il conduttore, Chris Wallace, un pezzo da novanta del giornalismo in America. A certificare la debacle, oltre ai social e ai “pundit”, il crollo degli ascolti: 73,1 milioni di persone si sono sintonizzate in tv su un totale di 16 network per vedere il dibattito, giù rispetto agli 84 milioni di telespettatori del dibattito del 2016 tra Hillary Clinton e Donald Trump, mancano 11 milioni di persone al telecomando.
Nel comunicato, la commissione bipartisan sui dibattiti non menziona i due candidati e non fornisce particolari sulle modifiche. Difende Wallace, ringraziandolo “per le sue capacità e la sua professionalità”.
“Fanno così solo perché il loro uomo è stato demolito la scorsa notte. Il presidente era la forza dominante ed ora Joe Biden sta tentando di lavorarsi gli arbitri. Non dovrebbero spostare i pali e cambiare le regole nel bel mezzo della gara”, attacca la campagna del tycoon, dopo che l’ex vice presidente ha reclamato una modifica del regolamento dei dibattiti, dichiarandosi pronto ad accettare “qualunque nuovo set di norme”. È da quando è sceso in campo che Trump tenta di delegittimare la Cpd. Nel 2016 aveva denunciato collusioni con la Clinton.
A 34 giorni dall’Election Day, il capo Casa Bianca è sempre indietro nei sondaggi e grida al complotto contro di lui orchestrato dai dem con il voto per posta e la complicità dei media, Wallace compreso naturalmente. Secondo la rilevazione di YouGov realizzata per l’Economist all’indomani del dibattito, Biden risulta al 50% dei consensi contro il 42% dell’incumbent.
“Ho dovuto dibattere contro due”, si è lamentato il capo della Casa Bianca, durante il comizio nell’hangar di Duluth, in Minnesota, terra di miniere e minatori, duramente colpiti dal coronavirus, dove perse nel 2016 e dove sono accorsi in 10 mila per ascoltarlo. Lui, prima di congedarsi, li ha deliziati con il suo ormai rituale balletto finale, sulle note di “Ymca” dei Village People. Trump ha falsamente accusato Biden di voler rinunciare ai prossimi due dibattiti, in calendario il 15 ottobre a Miami, in Florida, e il 22 a Nashville, in Tennessee. Biden “non si rifiuterà mai di parlare con il popolo americano”, assicura la candidata vice Kamala Harris che si confronterà con il numero due di Trump, Mike Pence, il prossimo 7 ottobre a Salt Lake City, nello Utah. Un dibattito tra vicepresidenti che potrebbe offrire uno spettacolo decisamente migliore rispetto a quello che abbiamo visto a Cleveland.
L’ex vice presidente ha optato ieri per un tour elettorale in treno, da Cleveland alle zone rurali della Pennsylvania occidentale, luoghi dove il rivale vinse di misura quattro anni fa. Trump si è rifiutato di condannare i suprematisti bianchi esortando il gruppo dei Proud Boys a “stare pronti” tanto da costringere eminenti esponenti del Grand Old Party, compreso il leader di maggioranza al Senato Mitch McConnell, a prendere le distanze. Trump parlando con i giornalisti della Casa Bianca ha poi cambiato la rotta: "Le milizie di estrema destra dovrebbero allentare la tensione e lasciar fare il suo lavoro alla polizia"
“Biden è nella sua forma migliore, soprattutto quando si tratta di empatia e compassione. Per contro, Trump non possiede alcuna di queste capacità e si noterà”, osserva via Twitter il professore di scienze politiche della University College London Brian Klaas, in vista del dibattito nel formato town hall della Florida, quando a fare le domande saranno direttamente gli elettori.
Proprio la Florida si conferma lo Stato osservato speciale di questa elezione, con un testa a testa che potrebbe decidere la presidenza sul filo di lana. In vista della scadenza per la registrazione al voto fissata per il prossimo 5 ottobre, gli attivisti dem si stanno prodigando per pagare i debiti degli ex pregiudicati in modo tale che possano votare. Una legge della Florida impone infatti ai condannati di aver saldato tutti i debiti e le multe per partecipare alla consultazione elettorale.
L’ex sindaco di New York Michael Bloomberg ha raccolto fondi per 16 milioni di dollari a questo scopo, azzerando i debiti di 32 mila pregiudicati. I repubblicani sono insorti contro l’impegno dell’ex candidato alle primarie dem e il procuratore generale della Florida, Ashley Moody, ha chiesto all’Fbi e alle forze dell’ordine di indagare per possibile voto di scambio. Anche Trump ha infierito: “Wow, nessuno si rende conto di quanto Mini Mike Bloomberg si sia spinto perché gli ex carcerati votino per Sleepy Joe. È disperato e vuole riguadagnarsi il consenso di gente che non solo lo ha battuto brutalmente, ma lo ha anche fatto apparire come un totale idiota. Ora sta commettendo un serio crimine”.
La disputa è iniziata nel 2018, in occasione delle elezioni Usa di metà mandato quando il parlamento della Florida, con l’approvazione del Quarto Emendamento, ha concesso il diritto di voto a milioni di ex detenuti che hanno scontato la loro pena. Nel 2019 la legge è stata emendata dal Gop con la clausola sulla necessità di aver saldato pure i debiti. I dem l’hanno definita “una tassa sul voto” e gli attivisti hanno presentato ricorso. In primo grado i giudici hanno dato loro ragione, ma poi un tribunale d’appello ha definito valida la legge dello Stato. Il Gop accusa Bloomberg di voler “comprare”, a favore del democratico Joe Biden, il voto dei pregiudicati, in prevalenza ispanici e afroamericani, il segmento dove l’ex vice presidente risulta più forte. “Se sarà dimostrato un collegamento diretto” tra le multe saldate e la registrazione al voto di singoli, si configurerà una violazione delle leggi federali, avverte Hans von Spakovsky, legale della conservatrice Heritage Foundation.
E sempre nello Stato del Sole si sta consumando lo strano caso dell’ex capo della campagna di Trump, Brad Parscale. In una nota inviata a Politico ha comunicato l’intenzione di dimettersi per “eccessivo stress”. Era già stato retrocesso alla comunicazione digitale ed ora è ricoverato per un trattamento sanitario obbligatorio chiesto dalla moglie che aveva picchiato. Domenica la signora Parscale aveva chiamato la polizia che lo ha portato via dopo averlo convinto a non spararsi. Trame oscure e dietrologie sono spuntate come funghi. Per il maestro del thriller Don Winslow, dichiaratamente anti-trumpiano, Parscale sta facendo il matto per non essere chiamato a testimoniare su chissà cosa. Per altri è solo il fattore Trump che porta all’esaurimento. Sì, è una corsa pazza.