AGI - Due giorni fa la constatazione della mancata rimozione dei drappi imposti ai mosaici e agli affreschi di Santa Sofia, nonostante le promesse in senso contrario. Oggi l’annuncio che un’altra chiesa della Costantinopoli bizantina verrà restituita al culto islamico. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, nonostante lo scarso ritorno in termini di consensi dopo la svolta decisa contro quelli che per decenni erano stati considerati musei dalla Turchia laica, ha deciso un nuovo giro di vite per accontentare l’ala più estremista dei suoi sostenitori. Lo splendido museo Kariye Cami, conosciuto anche come monastero di Cristo Salvatore a Chora, seguirà lo stesso destino di Ayasofia.
La decisione è stata pubblicata oggi sulla gazzetta ufficiale e riguarda il monumento principale di quello che è uno dei quartieri più popolari di Istanbul, dove il senso di appartenenza alla religione islamica è più fortemente interconnesso con il nazionalismo ed il governo miete consensi ad ogni elezione.
Due operai ed un muro da abbattere
Grazie alla decisione di oggi – e la conseguenza non è da poco – rafforza ulteriormente la sua presenza in questa zona dell’Istanbul profonda i Diyanet, il sempre più potente ufficio della Direzione degli Affari religiosi. Si occuperà direttamente dei lavori di ripristino, e c’è già chi teme che possano rimbalzare presto sulla rete immagini come quelle di tre giorni fa: due operai che sfacevano a colpi di maglio un muro antico di almeno seicento anni all’interno della Torre di Pera: edificio amato dalla gente comune e dai turisti, ma colpevolmente eretto dai mercanti genovesi in quello che all’epoca non era un semplice quartiere della città, quanto la città a se stante abitata dai mercanti italiani.
Lo stesso monastero del San Salvatore è stato costruito nel 534, ed è quindi coevo di Santa Sofia, e le sue mura interne, i pilastri e le cupole sono interamente coperte da mosaici ed affreschi che sono datate attorno all’XI secolo. Uno dei più rari esempi dell’arte bizantina in fatto di mosaici e affreschi, un punto di riferimento del patrimonio culturale mondiale, come lo ha definito lo storico turco Llber Ortalyi.
Anche qui, proprio come per Santa Sofia, arte dei suoi splendidi affreschi e mosaici – che alla sua trasformazione in moschea nel XVI secolo erano stati coperti da un intonaco – sono stati riportati alla luce nel 1958, dopo l’accurato lavoro della scuola archeologica americana, con il contributo di alcuni studiosi turchi.
La preoccupazione delle confessioni cristiane
L’annuncio è troppo fresco perché si possa registrare quella levata di scudi che si scatenò poche settimane fa in seguito alle decisioni sulla principale ex basilica della città e di quello che una volta era l’impero ottomano. Vale quindi ricordare che da Roma Papa Francesco parlò esplicitamente di “profondo dolore” per il provvedimento, mentre i leader di altre confessioni cristiane furono ancor più espliciti.
Primo tra tutti il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, primus inter pares della Chiesa ortodossa, che non esitò a parlare di un mondo cristiano ed un mondo islamico che si sarebbero guardati sempre più in modo ostile, per quello che stava accadendo. Secondo il religioso la sacralità di Santa Sofia costituisce il centro vitale, dove si incontrano occidente e oriente, per cui la sua conversione in moschea sarà causa di rottura tra questi due mondi. Come Bergoglio, anche il patriarca caldeo Louis Raphael Sako ha definito “triste e dolorosa” la presa di posizione delle autorità turche.
Ma se nell’ufficialità si tace, è un senso di profonda delusione che serpeggia in diversi ambienti religiosi: per la cosa in sé, per l’incapacità della comunità internazionale – dalla quale Erogan sta abdabdo via via isolandosi – di rtrovare una soluzione a quella che ormai è chiaramente una politica decisa a tavolino e realizzata in modo sistematico.
La logica del fatto compiuto ed i timori per il domani
Non sfugge infatti che il caso della chiesa e del monastero di San Salvatore in Chora sia solo l’ultimo di una serie di episodi analoghi che si sono succeduto negli ultimi mesi. Chiese riportate al rango di moschee ve ne sono state altre, ancor prima di Santa Sofia: a Smirne ed Efeso. Nel silenzio dei governi e della comunità internazionale.
Ora che anche Santa Sofia è valsa la logica del fatto compiuto, ci si fanno poche illusioni: altri musei già chiese saranno messi sotto la tutela della direzione degli affari religiosi il suo responsabile, Ali Erbas, che guida la preghiera del venerdì in quella che ora è Ayasofia impugnando nella sinistra una spada incisa nei caratteri del Corano. E quando non ci saranno più chiese da trasformare in mosche, chissà cosa sarà escogitato da Erdogan per ricordare ai suoi sostenitori che la sua è la politica di un Califfo.