L’immagine simbolo del nono giorno consecutivo di proteste in Bielorussia è quella del presidente Aleksandr Lukashenko, che arringando gli operati della fabbrica di trattori Mtz di Minsk in cerca di sostegno, viene invece fischiato al grido di "dimettiti”. Poco dopo, tre operai vengono arrestati con l’accusa di aver orchestrato l’umiliazione del ‘piccolo padre’ (batka), come si fa chiamare dai suoi sostenitori. Ma il danno è fatto: Lukashenko - accusato da un vasto movimento di protesta di aver truccato le elezioni che gli hanno consegnato un sesto mandato - appare sempre più debole, c’è chi non gli dà più di altri tre giorni al potere, dopo aver perso l’appoggio anche della classe operaia, zoccolo duro del suo elettorato da quasi tre decenni.
Dopo la storica manifestazione pacifica del 16 agosto a Minsk, sono entrati in sciopero i principali stabilimenti industriali del Paese, ma anche alcuni dipendenti delle emittenti radiotelevisive di Stato, “stanchi di mentire” e che per la prima volta hanno iniziato a coprire le proteste; i dipendenti del teatro Kupala di Minsk si sono dimessi in blocco dopo il licenziamento del loro direttore che aveva appoggiato le manifestazioni. Il centro delle proteste nella serata è diventato il famigerato carcere della capitale su via Okrestina, da dove migliaia di manifestanti arrestati sono usciti raccontando di torture. Numerose persone si sono radunate qui e hanno provato a far entrare medici e consegnare cibo e medicine.
Da Vilnius, dove si e' rifugiata, la candidata dell'opposizione Svetlana Thikanovskaya, si è detta pronta a guidare il Paese. Ormai sempre più alle strette, Lukashenko ha aperto a un nuovo voto, ma solo dopo una "necessaria" riforma della Costituzione da sottoporre a referendum. Ma la piazza non cede e vuole una immediata ripetizione delle elezioni all'insegna della trasparenza. "Non si puo' falsificare l'80% dei voti, ha dichiarato l'uomo forte di Minsk rivolto agli operai, "se mi dimettessi oggi, cosa accadrebbe ai vostri salari?”. Lo spettro che agita Lukashenko davanti al Paese è sempre quello di caos e di interferenza straniera, che però ormai non fa più presa sul Paese.
I media locali segnalano agitazioni in tutti i principali giganti industriali, dallo stabilimento petrolchimico Naftan al produttore di potassa per fertilizzanti Belaruskali, dal costruttore di mezzi militari Mzkt, al mobilificio Yavid. All'acciaieria Bmz sono state fermate tutte e tre le fornaci. Secondo i canali Telegram dell'opposizione, sarebbero in sciopero anche alcuni ferrovieri e pure i minatori sono in procinto di aderire a quello che ha tutta l’aria di diventare uno sciopero ad oltranza. Un disastro non solo politico, ma anche economico in un Paese fortemente industrializzato e in cui l’economia è all’80% in mano allo Stato.
Dalle città alle campagne, le rivendicazioni sono le stesse: la fine delle violenze da parte delle forze di sicurezza, la consegna alla giustizia dei responsabili, le dimissioni del presidente, la convocazione di elezioni democratiche e il rilascio dei prigionieri politici. Il ministero dell'Interno nel frattempo ha fatto sapere che è quasi ultimato il rilascio delle migliaia di manifestanti incarcerati nella repressione dei giorni successivi al voto. Nelle strutture di detenzione ne rimarrebbero ‘appena’ 122.
L'Ue rilancia l'azione diplomatica: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha intanto deciso di convocare per il 19 agosto una riunione straordinaria dei capi di Stato e di governo Ue "per discutere la situazione in Bielorussia". Il presidente Usa, Donald Trump, ha definito la situazione "terribile", mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel ha assicurato che “i nostri cuori battono con i manifestanti”.
La tenuta del potere di Lukashenko dipende ormai dal sostegno interno degli apparati di sicurezza ma soprattutto dall’ingombrante vicino russo. Mosca, che formalmente ha promesso sostegno, non appare interessata a farsi coinvolgere in modo diretto. Secondo l’analista del Carnegie Europe Thomas de Waal Vladimir Putin tende a intervenire quando è “convinto di poter controllare il risultato dell’operazione e in questo caso l’opzione migliore sarebbe poter controllare una transizione di potere. Se il Cremlino individuasse una figura nell’opposizione con cui potere lavorare, probabilmente abbandonerebbe Lukashenko”.