Nell'era del digitale il problema è... il postino. Le elezioni americane sono diventate (anche) un problema di posta, del voto via mail che non è quello via e-mail. Negli Stati Uniti quando vai al seggio vale la legge elettorale generale, ma pesa tantissimo la norma particolare dello Stato dove l'elettore è registrato. Cinquanta Stati, una moltitudine di situazioni diverse e non c'è solo lo Stato, c'è anche la Contea che dispone, decide, organizza, deroga, vieta e consente. E a quanto pare il postino non suona sempre due volte.
Donald Trump dice che il voto per posta espone il sistema a irregolarità (in realtà il suo timore è che venga penalizzato, tutto da dimostrare, potrebbe sbagliarsi), ma oltre a questo punto della sua campagna, ci sono buone ragioni - e fatti concreti - per pensare che ci saranno due storie da raccontare: la prima, quando gli elettori voteranno e spediranno i loro "ballot" ben compilati; la seconda, quando ci sarà da dare il risultato ufficiale delle elezioni presidenziali. C'è chi dice che si rischia di non avere un presidente eletto la sera del 3 novembre o di stare appesi, con un risultato sub iudice, per i ricorsi che verranno presentati subito dopo la chiusura dei seggi nei vari Stati (è già successo, Florida, elezione di George Bush jr.). Possibile, probabile, ma non è inevitabile.
Una cosa è certa, il Postal Service ha problemi finanziari da molti anni, ha provato a mettere i costi sotto controllo e ha avvisato i naviganti che potrebbe non essere in grado di assicurare puntualmente la spedizione dei voti per posta. Traduzione: al conteggio dei voti mancherebbero schede fondamentali per l'elezione del presidente degli Stati Uniti.
Secondo Nbc News almeno diciotto Stati hanno ricevuto una lettera del Postal Service, firmata dal General Counsel, Thomas Marshall, che avvisa sulle difficoltà a cui si andrà incontro nel voto in alcuni Stati che hanno modificato il calendario, gl orari, le procedure: "Alcune scadenze potrebbero essere incompatibili con i nostri servizi di consegna". Risultato? C'è il rischio che "i voti non arrivino in tempo per essere conteggiati in base alle leggi dei vostri Stati". La lettera è del 29 luglio, ma il caso è aperto da tempo, è sul tavolo della politica da settimane.
Il 27 luglio scorso, il direttore generale, Louis DeJoy, ha messo nero su bianco una situazione più che nota al Congresso: "Il servizio postale si trova in una posizione finanziariamente insostenibile, a causa di una sostanziale diminuzione del volume della posta e di un modello di business non più sostenibile. Attualmente non siamo in grado di far fronte ai nostri costi con le fonti di finanziamento disponibili per adempiere sia alla nostra missione di servizio universale che ad altri obblighi legali. Per questo motivo, il Servizio postale ha subito oltre un decennio di perdite finanziarie, la cui fine non si vede, e ci troviamo di fronte a un'imminente crisi di liquidità". Nel secondo trimestre l'agenzia ha conseguito 17.6 miliardi di dollari di ricavi, costi operativi per 19.8 miliardi, la perdita è di 2.2 miliardi.
Il coronavirus ha spinto gli Stati a facilitare e incentivare il voto in anticipo, il voto per posta e l'absentee ballot (che si può fare in vari modi che, a loro volta, mutano secondo le regole degli Stati). Tre esempi, tre scenari diversi.
In Alaska dopo la registrazione (entro il 4 ottobre) puoi votare in anticipo dal 19 ottobre fino al 2 novembre (ricordiamo che l'elezione generale è il 3 novembre); andare di persona al seggio; richiedere un absentee ballot che deve essere certificato da un notaio o da due testimoni, spedito il 3 novembre e ricevuto entro il 13 novembre. Problemi in vista? Lo Stato dell'Alaska ha inviato il modulo per la richiesta a tutti gli elettori oltre i 65 anni - e si è aperta una causa legale perché c'è chi sostiene sia una discriminazione in base all'età e dunque andrebbe inviato a tutti gli elettori.
Scendiamo a Sud. In Georgia dopo la registrazione (entro il 5 ottobre) puoi votare in anticipo dal 12 al 16 ottobre, dal 19 al 24 ottobre, dal 26 al 30 ottobre, data e luogo variano a seconda della contea; votare al seggio il 3 novembre; fare richiesta per un absentee ballot (la conta di Dekalb sta inviando i moduli agli elettori, lo Stato lancerà un sito per la richiesta online per tutti i cittadini) che deve essere ricevuto entro il 3 novembre.
Andiamo in Minnesota. Registrazione entro il 13 ottobre, è possibile farla anche il 3 novembre direttamente al seggio; non c'è il voto anticipato vero e proprio, ma l'absentee voting è possibile, bisogna registrarsi entro il 2 novembre, non è necessario che questo voto venga certificato da testimoni o da un notaio (c'è la pandemia, ognuno applica le sue regole), il voto va spedito entro il 3 novembre e ricevuto per essere valido entro il 10 novembre. I repubblicani hanno fatto ricorso contro le nuove norme sull'assenza di testimoni e l'estensione della data di ricevimento per l'absentee ballot, tutto è nelle mani della Corte Suprema del Minnesota.
Ora immaginate questo sistema, con piccole e grandi varianti, applicato in 50 Stati, con il servizio postale che dichiara la sua inefficienza, ma promette di fare il possibile che a molti non a torto sembra davvero impossibile. C'è una sola parola per descrivere lo stato d'animo di tanti politici repubblicani e democratici: preoccupazione. Può darsi che si riveli eccessiva, che tutto alla fine vada bene, ma il problema esiste.
Donald Trump ha acceso la miccia dicendo di non voler dare 25 miliardi di dollari al Postal Service perché i democratici "hanno bisogno di quei soldi per far funzionare la posta in modo da poter prendere tutti questi milioni e milioni di voti" e dunque "se non facciamo un accordo, significa che non riceveranno i soldi. Significa che non possono avere il voto per corrispondenza universale. Non possono averlo". La frase ha fatto infuriare i dem che hanno preso carta e penna e scritto una lettera di fuoco di ben 9 pagine al "postmaster", Louis DeJoy, firmata da Nancy Pelosi, Charles E. Schumer, Zoe Lofgren e Amy Klobuchar, che suona così: "Per essere chiari, la richiesta di 25 miliardi (di nuovi fondi, ndr) arriva dal Postal service, che ha chiesto al Congresso questi fondi non per implementare un "sistema di voto per corrispondenza universale" (il riferimento è alla frase di Trump, ndr) ma per continuare a mantenere gli standard del servizio durante la pandemia (...).
La Camera dei rappresentanti ha dato il via libera a questa richiesta tre mesi fa, come parte dell'Heroes Act, ma il presidente Trump ha rifiutato l'assistenza federale al Postal Service". Per Deloy si aprono scenari da inchiesta del Congresso, si vota, è in mezzo alla tempesta, è un donatore dei repubblicani e lo ha nominato Trump. Ha tutti i segni particolari del nemico.
Nella lettera seguono domande pressanti a Deloy sulla riorganizzazione del servizio postale, il lavoro svolto durante il periodo elettorale, l'accusa non tanto velata di voler limitare il voto per corrispondenza e l'intimazione "durante una pandemia senza precedenti" a "fare tutto il possibile per facilitare" la gestione "delle elezioni da parte dei funzionari elettorali e il voto degli americani". Dunque la richiesta è quella "di non aumentare i costi" e "chiedere a tutti i dipendenti del Servizio postale di continuare a dare priorità alla consegna della posta elettorale, in modo che gli elettori e gli operatori elettorali abbiano tutto il tempo necessario per richiedere e inviare la posta".
Nella lettera dei Democratici c'è un riferimento a una corrispondenza tra Thomas Marshall, il General Counsel del Servizio postale, e alcuni membri del Congresso. Ci sono ben due lettere, una del 22 luglio (che dunque precede quella poi inviata da Marshall ai governatori il 29 luglio con l'allarme sui possibili ritardi nel voto per posta) e un'altra dell'11 agosto. In quest'ultima lettera Marshall non cita mai i problemi di recapito sulla posta elettorale, parla in generale dei cambiamenti organizzativi del servizio, dell'urgenza di nuovi fondi e attenzione da parte del Congresso.
Si vota, naturalmente è partita la teoria della cospirazione e Trump ci mette la benzina per alimentarla: secondo i democratici il presidente non vuole risolvere i problemi del Postal Service perché così avrà la possibilità di dire che il voto è irregolare e fare causa se sconfitto. Trump corregge il tiro, dice non opporsi ai fondi per il Postal Service, ma continua a parlare e twittare sulle "frodi elettorali" che, tra l'altro, non sono un'invenzione, il caso di Paterson, in New Jersey, è un fatto, ma questo non significa che l'intero processo del voto possa essere compromesso.
Naturalmente lo schema cospiratorio funziona anche al contrario, a parti rovesciate: Trump vince e i dem diranno che l'elezione è irregolare, che la posta non ha funzionato, che The Donald ha truccato il voto, lo stanno già dicendo e scrivendo. Tutti si portano avanti e tutto fa pensare a un 3 novembre senza il presidente eletto. Lotta politica. Dunque i repubblicani a loro volta accusano i democratici di incentivare il voto per posta così potranno controllarlo e manipolare le schede. Nessuno ha ragione, tutti hanno torto, tutti fanno politica, la propaganda è al massimo dei minimi e il servizio postale americano è in crisi.
Non è la Casa Bianca che fa le regole del voto ma, come abbiamo visto, sono frutto delle scelte degli Stati, addirittura delle singole contee. L'unica cosa che appare chiara è che senza un lavoro straordinario (perché questa elezione presidenziale è straordinaria) c'è un potenziale problema di spedizione, ricevimento, spoglio e conteggio delle schede. Un problema di logistica e di tempo. E di denaro.
Siamo dentro un gigantesco sudoku elettorale che si gioca sul piano nazionale (l'organizzazione, il funzionamento e la dotazione finanziaria del Postal Service) e uno locale dove gli Stati fanno i conti con il coronavirus, le paure degli americani, la tutela della salute (e quella della democrazia), i cinici calcoli elettorali di chi governa, da una parte e dall'altra. La partita del 3 novembre si decide nell'Electoral College, negli Stati. Così c'è chi ha inviato le schede a tutti gli elettori e si è aggiunto agli altri Stati che già lo facevano prima della pandemia; c'è chi ha inviato i moduli a tutti (o a parte dell'elettorato, come abbiamo visto) per la registrazione in caso di absentee ballot; altri che hanno eliminato ogni giustificazione da esibire in caso di richiesta per l'absentee ballot (prima bisognava avere una valida ragione per farlo, ora c'è il coronavirus), c'e chi ha cancellato l'obbligo di avere due testimoni o la firma di un notaio per l'absentee ballot; altri hanno esteso le scadenze di spedizione e ricevimento delle schede; c'è chi ha lanciato un sito online per richiedere l'absentee ballot, altri Stati hanno allungato il periodo per il voto anticipato.
Che cosa accadrà? La prova l'abbiamo vista durante le primarie dei dem a New York, esito disastroso: i vincitori sono stati ufficializzati dal New York City Board of Elections solo pochi giorni fa, dopo 6 settimane d'attesa. Il conteggio finale per ogni singola sfida appare così:
Dietro questa semplice tabellina c'è un lavoro enorme, si è votato il 23 giugno, sono arrivati 400 mila absentee ballots, 10 volte in più rispetto alla media delle elezioni precedenti.
Impatto del voto per posta sull'elezione presidenziale? Ai blocchi di partenza, con le nuove regola adottate in tutti gli Stati, nelle elezioni del 2020 il 76% degli americani avrà la possibilità di votare via posta, un record.
FiveThirtyEight scrive che l'Election Day rischia di diventare l'Election Month, con tutto il mese di novembre che si consumerebbe nell'attesa del risultato finale della corsa alla Casa Bianca. In questo scenario, il mese di ottobre sarà fondamentale, perché è in quel periodo che molti elettori voteranno. Il voto anticipato è un fattore che appare più incisivo rispetto al passato. Un servizio postale efficiente è una necessità, riguarda tutti, repubblicani e democratici. Assicurata la spedizione (regolare) del voto, c'è il problema dello spoglio. Non sarà veloce, è una questione ineludibile: vanno aperte le buste, verificata la corretta compilazione, controllate le firme, certificato e trascritto il voto. Serve tempo. Servono soldi. Servono persone. E c'è il distanziamento. L'America il 3 novembre avrà il presidente? Vista la situazione, sarebbe quasi un miracolo (o una "landslide victory", la vittoria a valanga di uno dei due candidati). Benvenuti nel voto del coronavirus.