Mentre proseguono le manifestazioni in Bielorussia contro il presidente Aleksandr Lukashenko, accusato di aver vinto le ultime presidenziali tramite brogli, l'Unione Europea respinge il risultato del voto e decide di imporre sanzioni mirate contro i responsabili della repressione delle proteste. Intanto da Vilnius, dove si è rifugiata il giorno dopo il voto, la candidata dell'opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, ha annunciato l'istituzione di un Consiglio di Coordinamento aperto alla società civile che gestisca il passaggio di poteri.
"L'Ue non accetta i risultati delle elezioni" e "inizia il lavoro per sanzionare i responsabili di violenza e falsificazione", ha dichiarato l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Josep Borrell, al termine della riunire straordinaria tra i ministri degli Esteri degli Stati membri. Bruxelles ha quindi risposto alla richiesta di aiuto giunta da Tikhanovskaya, che ha domandato sostegno per avviare il dialogo con Minsk e ha lanciato un appello alla società civile della sua nazione perché metta le sue menti migliori a disposizione del Consiglio.
L'appello alla società civile
"Abbiamo grande bisogno della vostra assistenza e competenza", ha spiegato, "abbiamo bisogno delle vostre connessioni, dei vostri contatti, dei vostri consigli e della vostra esperienza. Il Consiglio di Coordinamento dovrebbe vedere l'adesione di chiunque sia interessato al dialogo e a una pacifica transizione dei poteri: collettivi di lavoratori, partiti politici, sindacati e altre associazioni civili".
La sfidante di Lukashenko ha poi chiesto il rilascio di tutti i manifestanti arrestati e un'inchiesta sulle brutalità commesse dalle forze dell'ordine. Su questo fronte l'autocrate, che ha smentito le voci che lo volevano all'estero, ha voluto mostrarsi dialogante, annunciando il rilascio di duemila dimostranti e ordinando un'inchiesta sulle dinamiche degli arresti.
Il presidente bielorusso, al potere dal 1994, ha inoltre sostenuto di aver protetto i collaboratori di Tikhanovskaya rimasti a Minsk con il dispiegamento di 120 uomini per proteggere la loro sede, che ieri notte avrebbe subito una non meglio specificata minaccia. "Lo staff era circondato e nessuno sapeva da chi. Dio non volesse che facessero saltare la testa a qualcuno di loro, avremmo dovuto spendere anni a respingere accuse", ha raccontato Lukashenko all'agenzia stampa ufficiale BelTA, "quindi abbiamo dovuto proteggerli tutti, ora non lo apprezzano ma impareranno a farlo abbastanza presto".
La protesta nelle fabbriche
La protesta però non si ferma e raggiunge, anzi, un nuovo stadio, che la storia delle transizioni democratiche nei Paesi comunisti ha mostrato essere spesso cruciale. A mobilitarsi oggi sono state per la prima volta le fabbriche. Tra gli impianti più importanti costretti a sospendere parzialmente le operazioni a causa della protesta dei lavoratori vi sono, nella capitale, la fabbrica di automobili Maz e le fabbriche di trattori Mtw e e Volat, mentre nella città di Zodzina si è fermato lo stabilimento della BelAZ, che produce mezzi pesanti da scavo o da trasporto.
Gli operai non stanno avanzando rivendicazioni economiche ma stanno chiedendo la fine della repressione delle proteste e la convocazione di nuove elezioni presidenziali. A Minsk sono scesi in piazza anche gli insegnanti, mentre una catena umana lunga circa cinque chilometri, dalla stazione Pushkinskaya della metropolitana fino alla stazione Kuntsevshchina, è stata formata da un migliaio di manifestanti con in mano fiori bianchi.
Nel momento più teso del suo lungo regime, Lukashenko può quantomeno considerare archiviata la crisi diplomatica con Mosca. Sono infatti tornati tutti in patria i 32 contractor russi che erano stati arrestati prima del voto con l'accusa di voler interferire nelle elezioni.