AGI - La rielezione dell’eterno Aleksandr Lukashenko alla guida della Bielorussia, nelle presidenziali di oggi, appare l’unica certezza di quelle che inaspettatamente sono diventate le presidenziali più tese in decenni. La consultazione popolare del 9 agosto è il culmine di una campagna elettorale scandita da “un livello di repressione mai visto prima”, come denuncia all’AGI Lars Bünger, presidente della Ong svizzero-tedesca Libereco, che si occupa di diritti umani in Bielorussia e Ucraina. “Due aspiranti candidati contro Lukashenko sono stati arrestati, oltre 100 persone che hanno partecipato a regolari eventi elettorali sono finiti dietro le sbarre, i prigionieri politici sono diventati più di 20, le autorità hanno ostacolato il lavoro di decine di giornalisti e molti altri sono stati arrestati, come pure gli osservatori indipendenti nei seggi per il voto anticipato”.
L'inaspettato risveglio della società civile
Il ricorso alla forza prima delle elezioni si spiega col nervosismo di Lukashenko, alle prese con la più grave crisi politica dei suoi 26 anni al potere e, per la prima volta, sfidato alle urne da un rivale pericoloso: la casalinga 37enne Svetlana Tikhanovskaya, la cui discesa in politica ha scombinato i piani dell’uomo forte di Minsk e riacceso le richieste di cambiamento da parte della società civile. “La politicizzazione dell’elettorato”, spiega all’AGI da Minsk l’analista politico Aleksander Klaskovsky, “è iniziata con la campagna di raccolta firme per la candidatura di due sfidanti inattesi: Victor Babariko, ex chief executive della filiale bielorussa di Gazprombank, e Valery Tsepkalo, già ambasciatore negli Usa ed ex capo del Parco dell'Alta tecnologia di Minsk, che sono stati subito ribattezzati i ‘candidati della speranza’”.
I bielorussi sono stati in coda anche ore, per mettere la propria firma a favore dei candidati alternativi, tanto che si è parlato di “rivoluzione delle firme”, ricorda Klaskovsky, sottolineando che il fenomeno “ha preoccupato subito Lukashenko e il suo circolo dando inizio prima agli insulti verbali contro gli oppositori e poi alla repressione”. Babariko è stato arrestato, Tsepkalo è fuggito prima in Russia e poi in Ucraina con i figli, subodorando il carcere. Stessa sorte anche per un altro aspirante candidato con un ampio seguito: Serghei Tikhanovsky, il blogger che girava il Paese dando voce su YouTube ai problemi della gente comune, finito dietro le sbarre a maggio con accuse pretestuose.
E' una donna la 'candidata della speranza'
Aver ripulito l’arena politica dagli avversari più insidiosi, però, non è bastato. Dopo l’arresto di Tikhanovsky, a prendere la staffetta di candidato presidente è stata sua moglie Svetlana Tikhanobvskaya, rimasta in patria dopo aver mandato all’estero i due figli per precauzione. Dietro il suo nome si sono unite le campagne elettorali anche di Babariko e Tsepkalo, guidate da altre due donne: la moglie di quest’ultimo Veronika e la collaboratrice del primo, Maria Kolesnikova. Tikhanovskaya ha raccolto 435 mila firme, si è registrata per la corsa elettorale e ha iniziato a girare il Paese “in modo trionfale”, sottolinea l’analista politico. Le è stato permesso di correre perché non è stata ritenuta una vera minaccia, per la sua inesistente esperienza politica e per il fatto che fosse donna.
Senza un vero programma se non la promessa di una transazione di potere, Tikhanovskaya è riuscita a catalizzare il vasto malcontento di un po’ tutte le categorie sociali, dai pensionati nelle province, alla classe media delle città, fino alle nuove generazioni, dove regna la stanchezza per il dirigismo sovietico di Lukashenko, col quale il 70% dell’economia e i due terzi della forza lavoro è rimasta in mano allo Stato.
Stallo economico e Covid alimentano il malcontento
“Per molti il Paese è in un vicolo cieco”, spiega Klaskovsky, “negli ultimi 10 anni la Bielorussia non è cresciuta, i salari medi dal 2010 rimangono l’equivalente di 500 dollari al mese, mentre i prezzi sono cresciuti, il Pil è lo stesso dal 2009", pari a circa 60 miliardi di dollari. Nel frattempo, i russi hanno rivisto le politiche di prezzi agevolati di petrolio e gas per Minsk, creando un buco di bilancio di 700 milioni di dollari che si aggiunge ai danni del coronavirus.
La ridicolizzazzione che ha fatto il presidente di chi si ammalava e moriva di Covid-19 (“colpa loro che sono grassi”, “i vecchi sono andati in giro invece di stare a casa”) e le inefficaci misure di sostegno all’economia hanno aumentato la rabbia; intanto, migliaia di lavoratori emigrati in Russia sono dovuti rimpatriare a causa della pandemia e ritrovandosi a casa senza lavoro hanno finito per alimentare il bacino degli scontenti. Gli affollati comizi di Tikhanovskaya anche nelle province, dimostrano che “le persone che chiedono un cambiamento stanno piano piano smettendo di temere la repressione del regime, perché sentono di non essere sole”, fa notare Bünger.
Lukashenko non è finito, ma si avvia al tramonto
In un Paese come la Bielorussia, però, l’insoddisfazione della popolazione non si può misurare con sondaggi e ricerche, “perché qui il potere ha distrutto da anni la sociologia indipendente”, spiega Klaskovsky. A suo dire, oggi, il livello di fiducia nel presidente si attesta tra il 25 e il 35%, mentre il suo rating elettorale dovrebbe essere ancora più basso. Alle urne, però, Lukashenko ha bisogno di vincere con l’80-83%, confermando il gradimento delle ultime presidenziali del 2015 (83,5%), “perché le élite che ancora lo appoggiano, nomenklatura e apparati di sicurezza (‘siloviki’), non pensino che sia un leader indebolito”, sostiene l’analista bielorusso; l’annuncio di percentuali bulgare, con ogni probabilità ottenute con manipolazioni e brogli, potrebbe fomentare nell’elettorato la sensazione di una “vittoria rubata” e accendere le proteste di piazza.
Per questo Lukashenko fa affidamento sui siloviki per tenere saldo il potere, ha definito i manifestanti “bande criminali”, ha delineato un complotto di Russia e Nato per destabilizzare il Paese (vicino Minsk, sono stati arrestati 33 presunti mercenari della società russa Wagner) e assicurato che non permetterà un altro ‘Maidan’, riferendosi alla rivoluzione che a Kiev portò nel 2014 alla defenestrazione dell’allora presidente, Viktor Yanukovich.
L’incognita maggiore ora è come agiranno il regime e i sostenitori di Tikhanovskaya il giorno dopo il voto, in cui il presidente della Ong Libereco è convinto possa essere messo in atto "un blocco di Internet e della rete mobile per impedire la mobilitazione dell’opposizione". “Se almeno 100 mila persone scenderanno in strada a Minsk”, avverte l’attivista, “c’è la possibilità di assistere alla fine della dittatura”.
Più cauto Klaskovsky, secondo il quale per una rivoluzione “non basta l’attivismo politico della società, ma serve anche una frattura nelle élite, che in Bielorussia per ora non esiste”, ma che concorda sul fatto che “l’epoca di Lukashenko si sta avviando verso il tramonto”. “Anche se verrà usata brutalità contro eventuali proteste dopo il voto, non sarà possibile evitare una seconda ondata di attivismo politico nel Paese e la scintilla che la farà scoppiare potrà essere qualunque cosa”.