E' di nuovo scontro aperto tra il presidente americano, Donald Trump, e i principali social network, Facebook e Twitter. Questa volta al centro della diatriba un video pubblicato dalla campagna di Trump che rilanciava la sua dichiarazione alla Fox News secondo cui "i bambini sono quasi totalmente immuni al nuovo coronavirus". Un'affermazione inaccettabile per gli standard di Facebook e Twitter: il primo ha rimosso il video, il secondo ha minacciato di bloccare l'account fino a quando non sarebbe stato ritirato. Entrambi l'hanno avuta vinta, per ora.
"Il video include false affermazioni secondo cui un certo gruppo di persone è immune al contagio Covid-19, il che viola la nostra politica sulla pericolosa disinformazione sulla malattia", ha spiegato un portavoce di Facebook che per la prima volta ha direttamente censurato Trump. "Il presidente ha semplicemente dichiarato un fatto: i bambini hanno meno probabilità degli adulti di prendere il coronavirus", ha risposto Courtney Parella, portavoce della campagna di Trump. "Queste sono ulteriori prove del fatto che la Silicon Valley sia di parte nei confronti del presidente. Le regole vengono applicate solo in una direzione. I social network non sono gli arbitri della verità", ha lamentato.
I provvedimenti adottati dai due big californiani rischiano di portare ai ferri corti il presidente e il suo partito nel duello contro i social, accusati di favorire l'opposizione. La tensione è già alta da fine maggio, quando Twitter bloccò un tweet del presidente, ritenuto incitamento alla violenza contro i manifestanti contro il razzismo. Furioso, Trump firmò un decreto che minacciava di cambiare una legge che offre alle piattaforme digitali una grande libertà in termini di moderazione dei contenuti. E ebbe gran sostegno dai repubblicani.
Facebook, da parte sua, aveva acquisito una reputazione di lassismo riguardo ai contenuti politici, in quanto esonera i commenti di funzionari e candidati eletti dal suo programma di verifica dei fatti e consente la pubblicità politica, in nome della libertà di espressione, a differenza di Twitter. Mark Zuckerberg, capo e fondatore dell'azienda, si rifiutò di censurare il messaggio del presidente sulle proteste. Le piattaforme non devono fare gli "arbitri della verità", aveva insistito. Ma la sua decisione scatenò un putiferio, anche interno all'azienda. Ora Facebook è oggetto di un boicottaggio pubblicitario da parte degli inserzionisti che chiedono maggiore severità nei confronti dei contenuti di odio e di fronte al quale il gigante della rete si è limitato ad alcune concessioni minori.