AGI - La nuova legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong non ferma gli scontri nella città, dove oggi, ventitreesimo anniversario del ritorno alla Cina, 370 persone sono state arrestate per vari reati, anche se solo dieci fermi sono stati formalmente eseguiti per violazioni delle norme restrittive volute da Pechino ed entrate in vigore oggi. Nonostante il divieto della polizia alle manifestazioni, ufficialmente per preoccupazioni di carattere sanitario, in migliaia sono scesi per le strade contro la legge, che prevede pene fino all'ergastolo per chi è giudicato colpevole dei reati di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze straniere.
Intanto il Regno Unito tende una mano: dopo che il ministro degli Esteri, Dominic Raab, aveva definito la legge una "violazione" dell'autonomia del territorio e dell'accordo firmato a suo tempo tra Londra e Pechino, il premier Boris Johnson ha fatto sapere che vuole offrire uno strumento perché, fino a 3 milioni di hongkonghesi, possano trasferirsi in Gran Bretagna e, più avanti, acquisire la nazionalità britannica. In Usa, il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha condannato gli arresti nella "città controllata dai comunisti" mentre i rappresentanti repubblicani e democratici del Congresso hanno presentato una legge bipartisan che riconosce lo status di rifugiati ai residenti di Hong Kong a "rischio di persecuzione politica da parte della Cina". Tra i firmatari del 'Hong Kong Safe Harbor Act', il repubblicano Marco Rubio e il democratico Joaquin Castro.
La legge affida al dipartimento di Stato il compito di individuare i possibili rifugiati politici per "motivi umanitari speciali" ai quali potrà essere riconosciuto il diritto alla "carta verde", che garantisce di poter vivere per sempre negli Stati Uniti, e addirittura la cittadinanza americana. Spiragli di luce per gli abitanti di Hong Kong che si sono riversati a migliaia nelle strade per protestare contro l'entrata in vigore della nuova legge. Già dal primo pomeriggio l'atmosfera si è fatta tesa: gli agenti hanno avvertito con striscioni i manifestanti del rischio di arresto in caso di striscioni o slogan inneggianti alla secessione o alla sovversione dell'ordine statale. Le proteste si sono concentrate in più punti della città, e le forze dell'ordine hanno usato gli spray urticanti, i proiettili di gomma, i cannoni caricati ad acqua e sostanze chimiche e i gas lacrimogeni per disperdere la folla.
Tra i manifestanti c'era anche il volto più noto dell'attivismo pro-democrazia di Hong Kong, Joshua Wong, che ieri si è dimesso dal suo movimento, Demosisto, poi scioltosi, proprio poche ore prima dell'entrata in vigore della legge. Wong, ha incoraggiato i manifestanti con un tweet: "Non ci arrenderemo mai. Ora non è il momento di arrendersi". A difendere la legge è stata invece la leader di Hong Kong, Carrie Lam, che la ha definita "lo sviluppo più importante nelle relazioni con la Cina" e "inevitabile" per il ripristino della normalità. Lam ha ammesso "errori" da parte dell'amministrazione della città, negli ultimi 23 anni, nel rapporto con Pechino, che hanno portato alla "crisi" dello scorso anno, quando per mesi Hong Kong fu scossa dalle proteste pro-democrazia, culminate in migliaia di arresti. La difesa della legge assume per Pechino i contorni di un "secondo ritorno" di Hong Kong alla Cina, dopo la retrocessione del 1997, ma i timori si concentrano sull'erosione di fatto del modello 'un Paese, due sistemi', che aveva garantito un alto grado di autonomia a Hong Kong dalla fine dell'era coloniale britannica.
Ventitrè anni dopo, quel modello appare superato dalla nuova legge, che porterà per la prima volta nella città gli agenti cinesi e permetterà l'estradizione in Cina di chi verrà ritenuto responsabile dei reati più gravi contro la sicurezza nazionale. Pechino considera la nuova legge un "punto di svolta" per il ritorno alla normalità e non mostra segnali di ripensamenti. Il vice direttore dell'ufficio per i rapporti con Hong Kong e Macao, Zhang Xiaoming, ha respinto, stizzito, le critiche provenienti dall'Occidente e le minacce di sanzioni. "perché andate contro di noi? Come ama dire la gente di Hong Kong: cosa c'è che non va? Che cosa ha a che fare con te? Il tempo in cui il popolo cinese doveva piacere agli altri è finito".
Le critiche e i dubbi non raggiungono dunque l'obiettivo di smuovere Pechino. Il governo cinese ha elogiato 53 Paesi che hanno dato il loro sostegno alla nuova legge, e bacchettato, invece, altri 27, tra cui Gran Bretagna, Francia, Germania e Giappone, che lo hanno rimproverato verbalmente in sede Onu a Ginevra. "L'esibizione anti-Cina di pochi Paesi occidentali ha fallito", ha sentenziato il portavoce del Ministero degli Esteri, Zhao Lijian.