AGI - L'ex capo del Pentagono James Mattis 'guida' la rivolta dei generali contro il presidente Donald Trump.
Per i leader militari, tradizionalmente non schierati e tendenzialmente repubblicani, il tycoon ha superato la linea rossa minacciando di usare le forze armate contro i manifestanti che protestano per la morte dell'afroamericano George Floyd, ucciso dalla polizia a Minneapolis.
Trump non si è limitato ad invocare l'Insurrection Act, una legge firmata nel 1807 da Thomas Jefferson che attribuisce al presidente degli Stati Uniti - in casi eccezionali - il potere di utilizzare l'esercito per compiti di polizia.
Mentre il comandante in capo nel giardino delle Rose proclamava l'editto, la polizia sparava lacrimogeni e proiettili di gomma contro chi protestava davanti alla Casa Bianca, per disperdere la folla e consentire al presidente di sfilare indisturbato a piedi verso la vicina chiesa episcopale di St. John e mettersi in posa con la Bibbia in mano.
La scomunica di Mattis: Trump vuole dividere l'America
Se il ministro della Difesa Usa Mark Esper, ex ufficiale dell'esercito, ha immediatamente preso le distanze, quella di Mattis è stata una scomunica.
Trump "vuole dividere gli Usa", ha tuonato in un editoriale sull'Atlantic, "siamo testimoni delle conseguenze di questo sforzo deliberato, di tre anni senza una leadership matura. Possiamo essere uniti senza di lui, attingendo alla forza interna della nostra società civile".
"Militarizzare la nostra risposta come abbiamo visto a Dc - ha attaccato Mattis - crea un conflitto, un falso conflitto, tra le forze armate e la società civile".
Contro Trump anche l'ex generale John Kelly, suo ex capo di gabinetto ed ex ministro per la Sicurezza nazionale, e John Allen, ex comandante delle forze Usa in Afghanistan.
La polemica sulla Bibbia
"Non gli è bastato privare i manifestanti pacifici dei loro diritti sanciti dal primo emendamento - ha osservato Allen - con quella foto ha tentato di legittimare quel gesto con un alone religioso". Tra gli altri, pure Mike Mullen, ex capo dello stato maggiore congiunto, si è scagliato contro Trump, avvertendo che mina i valori dell'America.
Mattis, Kelly e il generale Herbert Raymond McMaster, nominato consigliere alla sicurezza nazionale dopo le dimissioni lampo di un altro generale, Michael Flynn (travolto dal Russiagate) erano considerati "gli uomini forti" del presidente.
"Alleniamo i nostri uomini per diventare macchine da guerra", dichiarava Trump via Twitter nell'ottobre del 2019. Sarebbe stata questa immagine del militare versione 'Rambo', sostiene Peter Bergen nel suo libro "Trump e i suoi generali: il prezzo del caos", a spingere il capo della Casa Bianca a circondarsi di generali al suo insediamento.
Non aveva messo in conto le loro resistenze sul ricorso facile alla forza (tantomeno contro i manifestanti) o sul ritiro delle truppe Usa dalle zone ancora calde, per non parlare del sostegno alla Nato. Alla fine del 2018, McMaster, Kelly e Mattis erano già tutti casa. Quella che traballa ora è la poltrona di Esper.