"Non siamo ancora a una vera guerra fredda tra Usa e Cina, ma la direzione è quella". In un'intervista al Corriere della Sera, il politologo Ian Bremmer, fondatore e capo di Eurasia, dice che tutto è cominciato "un anno fa con la guerra fredda tecnologica e da allora l'escalation è andata avanti senza freni. Quello che accade a Hong Kong è gravissimo" sostiene Bremmer, ma "non c'è modo di rasserenare l'orizzonte perchè ambedue i leader, Donald Trump e Xi Jinping hanno un'anima nazionalista e in questo momento si sentono spinti a seguire i loro istinti".
Ed essendo in difficoltà all'interno per la crisi economica post-pandemia, Trump e Xi sono altresì "convinti che opporsi con durezza alla superpotenza avversaria li renda più popolari" e che ciò "paghi politicamente". Anche perché oggi Trump è alle prese con 40 milioni di americani che hanno perso il lavoro e "ha bisogno di un capro espiatorio e la Cina è quello ideale" dichiara il capo d Eurasia.
Ma c'è di più. Secondo Bremmer "il vero versante critico è la tecnologia" in quanto Washington "vuole penalizzare Huawei", il gigante digitale cinese leader mondiale anche nelle reti 5G, c he pero' "ha un punto debole: dipende dai semiconduttori prodotti dagli Usa e da altri Paesi asiatici" analizza Bremmer, e "L'America ha bloccato i suoi e ha convinto gli alleati a fare altrettanto" mentre "proprio Taiwan era il maggior fornitore di Huawei".
Ritorsioni. Tutto è infatti cominciato con Pechino, spiega ancora il politologo, "che bloccava investimenti di imprese Usa che non accettavano più di cedere la loro tecnologia pur di entrare nel mercato cinese, mentre alla Cina non è stato più consentito di acquistare imprese americane hi-tech". Adesso, conclude l'americano, "si combatte a tutto campo, da Hong Kong alle università, ma Huawei rimane il filo conduttore". Comunque, ripete, "siamo su un piano inclinato: andrà sempre peggio, ma non prevedo rotture improvvise, brutali da qui alle presidenziali".