Trump non può chiudere i social (ma può complicargli la vita)
Trump non può chiudere i social (ma può complicargli la vita)

Trump non può chiudere i social (ma può complicargli la vita)

P. Fiore - A. Rociola
Donald Trump
Jim Watson - Donald Trump
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Twitter rompe per la prima volta la 'neutralità' dei social

Il dibattito sulla 'Sezione 230'

Le accuse di Trump ai grandi social

Twitter è da sempre la piattaforma più amata dal presidente. Ma questo non ha impedito di includere il sito di microblogging nel trio accusato di censurare i conservatori. I repubblicani, anche nelle audizioni dei ceo al Congresso, hanno chiesto conto a Google, Facebook e Twitter di un presunto “shadow banning”, cioè di un “bando nascosto” che tende a penalizzare la diffusione dei contenuti in base all'orientamento politico.

Tutti hanno sempre negato, imputando alcuni episodi di censura (ammessi dallo stesso Dorsey) come inconvenienti tecnici. Fino a ora, Twitter aveva però difeso in modo integrale la libertà d'espressione di Trump, anche di fronte alle proteste degli utenti che sottolineavano come fosse lo stesso presidente – in alcuni casi – ad alimentare le bufale.

Le sue parole, aveva spiegato Twitter, erano in un certo senso giustificate dal suo ruolo. Il cinguettio, anche se improprio, merita di essere pubblicato per il solo fatto di essere stato scritto dal presidente degli Stati Uniti.

L'accusa di Trump e la replica di Twitter

Neanche questa volta c'è stata una vera “censura”. Twitter rimuove i cinguettii contrari alle regole della piattaforma, ma si limita a bollare quelli discutibili con un link che rimanda ad approfondimenti certificati (una funzione introdotta di recente). Martedì è successo per la prima volta con un post di Trump, che aveva affermato, senza alcuna prova, come il voto per posta avrebbero aumentano le frodi.

Il presidente non ci ha visto più. Ha accusato (sempre via Twitter) le “BigTech” di fare “tutto il possibile” per censurarlo in vista delle elezioni di fine anno. “Ci hanno già provato nel 2016 e hanno perso. Adesso stanno impazzendo”. Twitter ha tenuto il punto: “Vietiamo i tentativi di utilizzare i nostri servizi per manipolare o interrompere i processi civili, anche attraverso la distribuzione di informazioni false o fuorvianti sulle procedure o circostanze relative alla partecipazione” al voto. Cioè proprio il caso di Trump.

La spaccatura con Facebook

Dorsey ha replicato lo stesso concetto in un paio di cinguettii, aggiungendo che “questo non vuol dire essere 'arbitri della verità'”. Occhio alle virgolette. Perché questa, più che una risposta a Trump è una replica a Mark Zuckerberg. Poco prima, intervistato da FoxNews, il ceo di Facebook si era detto contrario a una soluzione che punisse le piattaforme.

Ma aveva anche evidenziato che a Menlo Park ci sono “politiche diverse” e che preferiscono “non essere arbitri della verità su ciò che le persone dicono online”. Insomma: Trump sbaglia ma Twitter di più. Zuckerberg ha già dettato la sua linea: dialogo e basso profilo, come da un po' di tempo a questa parte.

Anche perché, in qualunque modo la si pensi, mettersi contro il presidente degli Stati Uniti non è un buon affare: dopo le minacce a mezzo social di Trump, il titolo di Facebook ha perso l'1,32% e nelle contrattazioni di pre-apertura è ancora in rosso; il 27 maggio Twitter ha ceduto il 2,76% e negli scambi che precedono la campana di Wall Street ha perso più del 4%.

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