La Corea del Sud inasprisce le restrizioni dopo un nuovo picco dei contagi da coronavirus. Tornano i blocchi nell'area metropolitana di Seoul, che ospita metà dei 52 milioni di abitanti del Paese. Musei, parchi e gallerie d'arte saranno chiusi di nuovo da venerdì per due settimane, riferisce il Guardian citando il ministro della Sanità Park Neung-hoo, mentre le aziende sono state esortate a reintrodurre misure quali il lavoro flessibile. "Abbiamo deciso di rafforzare tutte le misure di quarantena nell'area metropolitana per due settimane da domani al 14 giugno", ha detto, il ministro.
Ai residenti di Seul è anche consigliato di evitare incontri sociali o di andare in luoghi affollati come ristoranti e bar. "Le prossime due settimane sono cruciali per prevenire la diffusione dell'infezione nell'area metropolitana", ha detto Park, aggiungendo: "Se dovremo fallire, dovremo tornare alle misure di distanziamento sociale." Le restrizioni erano state revocate in tutto il paese il 6 maggio dopo che l'epidemia sembrava essere stata sotto controllo. Nelle ultime 24 ore sono stati registrati 79 nuovi casi di contagio, numeri di aumento giornaliero che non si vedevano dal 5 aprile.
Emerge anche un nuovo focolaio in un centro di logistica a Bucheon, città alle porte di Seul, al quale sono collegati 69 casi di contagio riscontrati ieri. Il sindaco della città ha dichiarato di avere identificato oltre 3.600 persone con legami con il centro di logistica, di cui solo una piccola parte sottoposta al test per il coronavirus.
La Corea del Sud era emersa come un modello a sè nel contrasto all’epidemia di coronavirus, un modello alternativo alle misure messe in campo dalla Cina e fondato su una combinazione di trasparenza, utilizzo delle nuove tecnologie e test a tappeto per evitare il contagio, nonostante sia ancora lontano il momento in cui possa dirsi risolta l’emergenza.
Seul ha fatto tesoro dell’esperienza nella lotta contro l’epidemia di Mers (la sindrome respiratoria acuta del Medio Oriente) che provocò la morte di 38 persone e circa duecento contagi. Nel 2015, quando si verificarono i casi di Mers nel Paese asiatico, il Korea Centers for Disease Control and Prevention si trovò spiazzato, e non in grado soddisfare le domanda di kit per il test sulle persone contagiate, con il risultato che molti malati passavano di ospedale in ospedale in cerca di assistenza, aumentando il numero di persone contagiate.
L’emergenza di allora ha portato a nuove leggi per fronteggiare rapidamente l’eventuale arrivo di una nuova epidemia, eliminando una serie di passaggi burocratici. Già l’anno successivo, il 2016, la Corea del Sud potè testare l’efficacia del sistema in vigore oggi, su una scala molto minore di quella attuale, durante l’epidemia di Zika.
Attraverso la collaborazione degli enti statali, dei laboratori privati e delle aziende produttrici è riuscito in poco tempo a mettere in piedi un sistema in grado di fronteggiare l’epidemia, nonostante i cluster di contagi che si verificano nel Paese.
Stazioni mobili per il test, visite nelle abitazioni, e punti di controllo in strada, agli automobilisti, hanno contribuito al successo del modello nazionale. La Corea del Sud è il Paese che ha fatto il maggiore numero di test rispetto al totale della popolazione, superando quota 240 mila in un mese e mezzo.
Il tempo impiegato per i test è di circa dieci minuti e riduce al minimo l’esposizione agli operatori sanitari e agli altri pazienti, al contrario di quanto avverrebbe in un’ospedale o in una clinica.
Un grosso aiuto nella lotta al coronavirus è poi arrivato dalla tecnologia e dai Big Data, con la diffusione di app che permettono di localizzare aree o edifici dove si trovano persone contagiate: proprio quando i dati sui nuovi contagi subivano un’impennata, una app chiamata “Corona 100m”, ha avuto un boom di download sugli smartphone dei sud-coreani.
Questo tipo di app, sviluppate anche in Cina, e un sistema centralizzato che rende pubblici movimenti e transazioni dei cittadini affetti da coronavirus tramite tecnologia Gps e telecamere di sorveglianza hanno generato perplessità sul rispetto della privacy, ma i funzionari sud-coreani non nascondono un certo orgoglio per il sistema in atto che permette ai cittadini di sapere se sono stati in contatto con persone che hanno contratto la nuova malattia.