"Non mi pento, mi sono comportato in maniera assolutamente ragionevole, ho cercato di fare il meglio che potevo in circostanze eccezionali che riguardavano mio figlio piccolo". Questa la difesa a oltranza, ripetuta decine di volte da Dominic Cummings, il super-consulente del premier britannico Boris Johnson, finito nell'occhio del ciclone per aver violato il lockdown alla fine di marzo, quando già presentava sintomi del coronavirus, recandosi a Durham, 400 km da Londra, insieme alla moglie e al figlioletto per mettersi in auto-isolamento nella proprietà di famiglia.
Da giorni il suo caso campeggia sui media e, nonostante la difesa di Johnson, si sono moltiplicate le proteste, così come le richieste di dimissioni, avanzate non solo dall'opposizione ma anche da una ventina di deputati Tory. Costretto a presentarsi in pubblico per spiegare, Cummings ha tenuto una conferenza stampa nel giardino di Downing Street.
È stato un 'processo' andato in onda per poco più di un'ora, con una sequela di domanda serrate. Dimesso, un po' nervoso e in alcuni casi esitante, a tratti in difficoltà, così l'eminenza grigia del governo di BoJo ha affrontato la sfilza di domande dei reporter. Un atteggiamento ben diverso da quello arrogante mostrato la settimana scorsa, quando il caso era saltato fuori e ai giornalisti che chiedevano spiegazioni aveva risposto:"Ho fatto la cosa giusta, non si tratta di quello che pensate voi".
Questa volta, davanti alla platea di giornalisti, il super-consulente, considerato un moderno Rasputin, temuto per il potere di cui gode e i suoi modi spicci, ha ricostruito minuziosamente l'accaduto, dalla scoperta dei sintomi del coronavirus, non solo per lui ma anche per la moglie, alla decisione di andare ad auto-isolarsi nella proprietà di famiglia per essere sicuri che in caso si fossero ammalati entrambi, il figlio piccolo fosse accudito. Una "situazione complicata" nella quale "ho esercitato il mio giudizio al meglio che ho potuto".
"Conoscevo le linee guida e credevo che il fatto di avere un bambino piccolo di cui prendersi cura fossero circostanze eccezionali consentite dalle regole del lockdown", ha sottolineato.
Ugualmente "ragionevole", a suo giudizio, è stato il viaggio compiuto due settimane più tardi al castello di Barnard per "controllare se ero in grado di guidare per ore per tornare a Londra" dopo aver avuto il via libera dei medici a rientrare nella capitale dopo due settimane di isolamento. In quell'occasione, ha riferito, i tre si sono seduti sulla riva del fiume per un quarto d'ora e tornando indietro si sono fermati nella foresta perché il bimbo aveva bisogno di andare in bagno.
"Ragionevole" infine anche la camminata in un bosco nella proprietà del padre fatta alcuni giorni prima, durante la quale "non ho mai abbandonato la proprietà privata e non ho avuto interazione con nessuno". Cummings ha sostenuto di comprendere come mai la gente possa essere così adirata ma ha sempre risposto di non essere d'accordo con le accuse che gli sono state mosse, ribadendo di "non essere pentito" della decisione presa.
"Probabilmente è stato un errore" non chiamare Johnson prima di mettersi in viaggio, "forse avrei dovuto farlo" ha concesso, spiegando pero' che il premier aveva appena saputo di essere positivo al coronavirus, "aveva molte cose di cui occuparsi" e lui voleva tutelare "il tempo" del capo di Downing Street, che "è quasi il bene più prezioso del governo".
"Certamente sarebbe stato meglio fare una dichiarazione prima", ha aggiunto Cummings, attaccando i media per "aver fatto commenti senza sapere quello che è veramente accaduto". Sono loro da "biasimare" per "il casino in cui hanno messo il governo" e per i cittadini che potrebbero "sentirsi incoraggiati a comportarsi in certi modi", violando le regole. Quanto alla rabbia dei connazionali che in queste settimane si sono piegati alla regola dello 'state a casa'.
Cummings ha riconosciuto "l'intensa sofferenza e il sacrificio" del Paese intero; "tuttavia, rispettosamente, non sono d'accordo: le regole legali inevitabilmente non coprono tutte le circostanze, comprese quelle in cui mi sono trovato". "Spero che le mie azioni non avranno effetti sul rispetto delle linee guida (contro il coronavirus) da parte della popolazione e spero che la gente capisca perchè ho agito", ha proseguito, tentando di difendersi dall'accusa pesante di aver minato gli sforzi del governo per contenere la diffusione del coronavirus, che finora ha fatto registrare quasi 261 mila casi e oltre 36.800 decessi, mettendo il Regno Unito seconda al mondo per numero di morti dopo gli Stati Uniti.
"Penso che Dom Cummings aggia agito ragionevolmente, ha letto la parte del consiglio che sentiva di seguire per prendersi cura di suo figlio, con l'ulteriore pressione della sua casa come bersaglio di abusi e attacchi. Vorrei che questa affermazione fosse arrivata venerdì, ma ora dovremmo andare avanti!", ha scritto su Twitter il deputato conservatore Ben Bradley.