Anziché appianarlo, l'assemblea dell'Oms ha esacerbato lo scontro fra Cina e Usa sulle origini della pandemia.
Nel secondo giorno della videoriunione mondiale dell'organizzazione di Ginevra, il presidente Usa Donald Trump si è ripreso la scena, ieri temporaneamente occupata dal suo omologo di Pechino. Se Xi Jinping aveva tentato di uscire dall'angolo in cui lo relegano le accuse di scarsa trasparenza all'inizio della pandemia e si è presentato come il ragionevole finanziatore principale, Trump ha al contrario potenziato il suo attacco, in una lunga lettera al segretario generale Tedros Adhanom Ghebreyesus.
All'accusa ormai nota di avere un approccio "filocinese", aggiunge che tale gestione è costata un elevato numero di morti, e chiosa constatando che si sarebbe potuto fare molto meglio se solo si fosse adottata una politica analoga a quella utilizzata nella precedente emergenza Sars del 2003.
L'allora direttrice Oms, la norvegese Harlem Brundtland, aveva deciso il blocco di tutti i viaggi da e per l'epicentro della malattia, che allora si trovava nel sud della Cina e, come ricorda Trump nella lettera, aveva accusato Pechino di "aver messo in pericolo la salute globale" impedendo la diffusione di informazioni corrette.
"Molte vite avrebbero potuto essere salvate se aveste seguito l'esempio di Brundtland", ha osservato il capo della Casa Bianca.
Minacciando, se entro 30 giorni le cose non saranno cambiate, di uscire dall'Organizzazione della quale gli Usa sono il principale finanziatore con un investimento che negli ultimi 10 anni è ammontato a quasi 3,5 miliardi di dollari (454 milioni nel solo 2019).
Non è una questione di fondi: gli stessi Stati Uniti, attraverso una struttura dedicata alla lotta contro il bioterrorismo e le pandemie (Autorità di sviluppo e ricerca biomedica avanzata), hanno già investito un miliardo in un partenariato pubblico-privato che finanzia diversi laboratori impegnati nella ricerca sui vaccini contro il Covid.
Fra questi c'è la francese Sanofi, che ha suscitato preoccupazione quando ha dichiarato che un eventuale vaccino sarebbe prioritariamente destinato proprio agli Stati Uniti in quanto principale finanziatore della ricerca.
Ma come, ha ribattuto il presidente Macron: il vaccino, a prescindere da chi lo troverà, deve essere un "bene comune globale".
Il forte contrasto fra le due principali potenze mondiali nell'epoca della pandemia ha dunque fra i suoi risvolti geopolitici un collegamento con la ricerca per un vaccino efficace.
Il suo ruolo, come ha capito molto presto il presidente Usa, è cruciale: è il solo strumento che permetterà alle società di tornare a vivere e all'economia mondiale di ripartire.
Non per niente i mercati salgono ogni volta che ci sono notizie favorevoli su quel fronte: è accaduto l'ultima volta quando si è saputo dei primi promettenti risultati della sperimentazione del vaccino per mettere a punto il quale la società Usa Moderna ha ottenuto una linea di credito di 483 milioni di dollari dalla stessa Biomedical Advanced Research and Development Authority di cui sopra.
Anche in Europa esiste un'agenzia Ue, con sede in Svezia, preposta a "controllo e prevenzione delle pandemie" che però, fino a tre giorni prima della scoperta del 'paziente uno' a Codogno, quel 20 febbraio convenzionalmente considerato come la data d'inizio della pandemia europea (di quella consapevole, per lo meno) definiva la situazione in Europa "sotto controllo".
Solo molto più tardi l'Ue ha cominciato a farsi carico dell'emergenza sanitaria, ma per quanto riguarda la ricerca sul vaccino ha dovuto convocare una conferenza di donatori, non disponendo di uno strumento adeguato.
Sono stati così raccolti impegni dai paesi per 7,4 miliardi, nella convinzione che la ricerca debba essere comune così come in comune dovrà essere messo il vaccino, una volta trovato.
Concetto condiviso e ribadito dall'Oms nell'assemblea di questi giorni. Ma i timori che uno strumento così importante possa essere monopolizzato dalla società che lo produce o dal paese che lo finanzia restano molto concreti: le ragioni sono sia politiche che economiche e da queste stesse ragioni dipende l'assetto geopolitico del futuro.