L'Europa sottovalutò il rischio pandemia tre giorni prima che esplodesse il caso di Codogno: emerge dal documento finale della riunione dei delegati del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc) che si svolse in Svezia il 18-19 febbraio, visionato dai quotidiani 'Repubblica' e lo spagnolo 'El País'.
In quel documento cui la diffusione del Covid 19 nel continente viene reputata "sotto controllo" e occupa solo 20 dei 130 punti conclusivi. Meno di 72 ore dopo, sarebbe stato ricoverato il paziente uno di Codogno.
I rischi per la popolazione europea vengono considerati bassi e tutte le proposte d'intervento vengono posticipate di due o tre settimane dopo. Austria e Slovacchia - scrive 'El Paìs' - sottolineano l'inconveniente di generare paura tra la popolazione e il direttore spagnolo delle emergenze sanitarie, Fernando Simon, mette in guardia dal rischio di "stigmatizzare" coloro che sono sottoposti a test diagnostici.
Il virus si stava già diffondendo in tutta Europa, ma i sistemi sanitari non lo avevano rilevato. Il motivo è che la diagnosi era strettamente legata ai viaggi a Wuhan. "Nessuna persona con sintomi viene testata. Nemmeno i pazienti ricoverati in terapia intensiva con polmonite di origine sconosciuta", scrive El Paìs.
Unica voce fuori dal coro allora è il rappresentante danese. "È importante sapere dove e quando cercare il virus", afferma, riferendosi ai Paesi con più risorse per testare. "Ad esempio, in un caso di polmonite grave sarebbe logico cercare il virus", spiega.
Il rappresentante dei Paesi Bassi ha spiegato invece in quella occasione di aver incaricato un gruppo di medici di raccogliere "campioni di sentinella" da analizzare. Il rappresentante danese ha chiesto di essere "proattivi" e di "preparati" ai contagi in paesi come il Giappone e il Vietnam. La verità, tuttavia, è che i criteri non vengono rivisti fino al 25 febbraio, quattro giorni dopo i primi due decessi in Italia.