Da un lato un lungo elenco di testimoni, dall’altra l’assenza della prova madre. Il caso di Tara Reade, l'ex collaboratrice che accusa Joe Biden di averla aggredita sessualmente nel ’93 quando era senatore, sta spaccando l’America, ma comincia ad avere tutti i contorni per lasciare un segno nella sfida a Donald Trump per la Casa Bianca. La 56enne, che in un’intervista televisiva ha invitato Biden a ritirare la sua candidatura a presidente, ha incassato alcuni punti a favore che ancora non bastano a fugare le ombre sul suo racconto, e sulla tempistica con cui ha deciso di renderlo pubblico. L’ultimo colpo di scena è un documento depositato nel tribunale della California il 25 marzo ’96, e ottenuto da un giornale locale, da cui emerge che Reade già 24 anni fa aveva parlato all’ex marito delle molestie subite.
Il retroscena si aggiunge ad altri due episodi. Il primo è riemerso il 24 aprile di quest'anno: nel ’93 una donna, identificata da Reade come sua madre, aveva chiamato in diretta il programma televisivo della Cnn, Larry King Live, chiedendo consigli su “problemi” che la figlia aveva avuto con un “importante senatore”. Il secondo episodio emerge tre giorni dopo, il 27 aprile: una ex vicina di Reade, Lynda LaCasse, ha raccontato di aver saputo della storia tra il ’95 e il ’96. A rendere, però, al momento, più debole il racconto sarebbe proprio l’ex collaboratrice di Biden. Il suo atteggiamento è cambiato nel giro di un anno, dal momento in cui Biden si è candidato alle primarie democratiche a quello in cui è diventato lo sfidante ufficiale di Donald Trump.
Il 3 aprile 2019, parlando a un giornale locale in California, la donna aveva accusato pubblicamente l'ex vice di Barack Obama di averle toccato collo e capelli, alla presenza di altre persone, facendola sentire a disagio. Ma non aveva fatto cenno ad aggressioni sessuali. Lo ha fatto il 25 marzo di quest’anno, in un podcast. Reade ha raccontato di essere stata aggredita nell’ufficio del senatore, dove era andata per consegnare una borsa da palestra. Biden l’avrebbe spinta contro il muro, allargato le gambe con il ginocchio e palpato le parti intime.
La donna ha raccontato di averne parlato subito con molti colleghi, e di aver compilato una denuncia consegnata all’ufficio del personale di Capitol Hill, ma di non aver conservato copia. E non ricorda il giorno in cui è successo. Il 9 aprile, due settimane dopo la rivelazione, la donna ha presentato una denuncia per violenza sessuale alla polizia di Washington D.C.
Il 12 aprile, Reade ha ribadito la sua versione in un’intervista al New York Times, chiamando in causa ex membri dello staff di Biden, ai quali avrebbe raccontato l’episodio già nel ’93. Ma gli ex dello staff, intervistati dal Times, hanno smentito.
In passato la donna aveva sempre parlato bene della sue esperienza con l'ex vicepresidente Usa, al punto da definire quel periodo al Senato “un’altra piuma nel cappello”, frase idiomatica che in America è l’equivalente della “medaglia al petto”, cioè una cosa di cui andare orgogliosi. Inoltre in passato Reade aveva condiviso e rilanciato i post di Biden in cui l’ex vice presidente difendeva le donne, invitandole a denunciare gli abusi di potere. In un’intervista al Washington Post, il fratello, Collin Moulton, ha raccontato di aver saputo dalla sorella di “comportamenti inappropriati” da parte del senatore, ma non aveva parlato di violenze sessuali. Pochi giorni dopo, Moulton aveva inviato messaggi al giornalista che l’aveva intervistato, per aggiungere che si “era ricordato" dell’aggressione. Laura McGann è una giornalista di Vox che l’anno scorso raccolse il racconto di Reade e dei suoi amici: “Mi parlarono di atteggiamenti imbarazzanti - ha scritto in un lungo articolo di ricostruzione - mai di violenze, dicendo che Biden non aveva mai provato a baciarla direttamente, ma che le toccava spalle e capelli sempre in pubblico, mettendola in imbarazzo”.
Il 77enne Biden, il primo maggio, ha parlato per la prima volta del caso, negando tutto: “Non è mai, mai successo", ha detto alla Msnbc, chiedendo al Congresso di aprire gli archivi per trovare la denuncia della donna. Ma per legge, devono passare almeno cinquant’anni. Ma anche su questo documento aleggiano versioni controverse. Il 2 maggio, in un’intervista all’Associated Press, Reade ha raccontato che nella denuncia presentata all’ufficio del Senato, non aveva fatto cenno a violenze sessuali. Subito dopo l’uscita dell’intervista, la donna ha smentito, su Twitter, di averlo detto. Il suo avvocato, Douglas Wigdor, è stato un generoso donatore della campagna di Trump nel 2016. Il legale ha deciso di difendere gratuitamente la donna, ma ha escluso motivazioni politiche: “Ogni donna che ha subito violenze - ha spiegato - ha diritto a un’assistenza competente”.