Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, torna a puntare il dito contro la Cina, accusandola di avere commesso un "terribile errore" nella gestione dell'epidemia di coronavirus, che Pechino "non vuole ammettere" e che "ha cercato di coprire", senza riuscirci. Washington, ha proseguito Trump, sta lavorando a un rapporto sul coinvolgimento del laboratorio di Wuhan nella diffusione del virus, che sarà "definitivo".
Le parole pronunciate dal presidente Usa a Fox News, seguono di poche ore le pesanti accuse del capo della diplomazia di Washington, Mike Pompeo, che alla Abc aveva parlato di "enormi prove" sulla provenienza del coronavirus dall'Istituto di virologia di Wuhan e si accompagnano a nuove accuse contro Pechino, contenute in un rapporto del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale Usa, citato dalla Cnn, secondo cui "la Cina ha probabilmente tagliato le esportazioni di forniture mediche prima della sua notifica di gennaio all'Oms sul contagio da Covid-19".
La Cina, aveva dichiarato ieri Pompeo, "ha fatto tutto quello che ha potuto per assicurarsi che il mondo non apprendesse per tempo cio' che stava accadendo". Dai suoi media statali, Pechino ha risposto con toni duri, e volte durissimi, alle accuse lanciate da Pompeo, e nei giorni precedenti anche dall'ex chief strategist della Casa Bianca, Steve Bannon, definendoli "una coppia di pagliacci bugiardi" sul Quotidiano del Popolo, organo del Partito Comunista Cinese.
Se quanto Pompeo afferma è vero, gli fa eco il tabloid Global Times, pubblicato dallo stesso giornale del Pcc, "allora dovrebbe presentare questa cosiddetta prova al mondo, e specialmente al pubblico americano che continua a cercare di ingannare. La verità", è la conclusione "è che Pompeo non ha alcuna prova, e durante l'intervista di domenica stava bluffando".
Dietro le dure repliche degli organi di stampa statali, si celerebbe, pero', il nervosismo di Pechino. Già il mese scorso, secondo un rapporto citato dall'agenzia Reuters, del Ministero della Sicurezza Statale sottoposto al presidente cinese Xi Jinping e ai leader del Pcc, emergeva la percezione di un aumento dell'ostilità nei confronti della Cina ai livelli più alti dalla strage di piazza Tiananmen del 1989.
Il risentimento è trainato dalla reazione degli Stati Uniti alla pandemia, che, si teme, potrebbe innescare anche a un conflitto armato tra le due grandi potenze globali, già profondamente divise su molti altri campi, dalla questione di Hong Kong, alla disputa sul commercio, giunta a una tregua, che Trump stesso ha minacciato di rompere, se Pechino non rispetterà gli impegni contratti.
Tutto, però, passa in secondo piano rispetto alla pandemia. La Cina, "ha fermato la gente dall'andare in Cina, ma non ha fermato la gente dal lasciare la Cina e dall'andare in giro per il mondo", è l'accusa di Trump. Le sue parole non sembrano risparmiare neanche Xi, un tempo definito "amico" dal presidente Usa: "Non dirò nulla, ma questo non sarebbe mai dovuto accadere".
L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), senza difendere apertamente la Cina, ha tuttavia sottolineato di non aver ricevuto nessuna prova dagli Stati Uniti sulle accuse. "Non abbiamo ricevuto alcun dato o prova specifica dal governo degli Stati Uniti in relazione alla presunta origine del virus, quindi dal nostro punto di vista questo rimane speculativo", ha dichiarato il direttore delle emergenze dell'Oms, Michael Ryan, in conferenza stampa.