Il caso Micheal Flynn "è un aborto della giustizia": la portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, sostiene che la condanna dell'ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump "dovrebbe spaventare tutti gli americani", mentre il suo avvocato parla di "deliberato piano dell'Fbi per attaccare il generale".
Un piccolo Watergate?
Pochi giorni dopo la decisione di un giudice federale di desecretare i documenti dell'inchiesta che portarono, nel 2017, alle dimissioni dell'ex consigliere di Trump, emergono retroscena che disegnano un piccolo nuovo Watergate, un potenziale scandalo che chiama in causa i vertici dell'Fbi, i cui agenti, invece di investigare un crimine, avrebbero complottato per crearne uno. Con un obiettivo: incastrare l'ex alto ufficiale americano, un passato ai vertici del controterrorismo in Afghanistan e Iraq, poi diventato consigliere di Trump nonostante il presidente Barack Obama gli avesse sconsigliato di assumerlo per via dei suoi controversi legami con la Russia.
Flynn, ritiratosi nel 2014, un anno dopo aveva ricevuto 65 mila dollari per una consulenza con un'azienda russa, e aveva partecipato a una cena di gala a Mosca, seduto al fianco del presidente russo Vladimir Putin. Nel 2016 Flynn era diventato consulente della campagna di Trump e, nel gennaio 2017, era entrato nello staff della Casa Bianca come consigliere sulla Sicurezza nazionale. Ma quelli erano i mesi in cui già si parlava di interferenze del Cremlino nelle elezioni presidenziali americane, così l'inchiesta su Flynn e l'ammissione dell'ex generale di aver mentito agli 007 riguardo i suoi legami con l'allora ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak, sembravano la chiusura del cerchio. Tre anni dopo, nuovi documenti disegnano uno scenario diverso.
Il settimo piano
L'Fbi aveva passato tutto il 2016 alla ricerca di prove dei legami tra Flynn e Mosca, senza trovarli. Ma il 4 gennaio 2017 l'agente Peter Strzok invia un messaggio a uso interno in cui scrive: "Ehi, se non avete ancora chiuso (il caso, ndr), non fatelo". Poi aveva aggiunto: "è coinvolto il settimo piano". Cioè i vertici dell'agenzia.
Che cosa era successo? A fine dicembre 2016 Flynn aveva parlato al telefono con l'ambasciatore russo, proprio lo stesso giorno in cui Obama aveva parlato di interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali. Il colloquio era stato registrato perché l'amministrazione Obama aveva tolto le protezioni all'ex generale, già dipinto dai giornali come "uomo legato a Mosca". Poco dopo Flynn era stato convocato dall'Fbi per essere interrogato.
Perché Flynn si dichiarò colpevole?
Secondo il Wall Street Journal, che con l'editorialista Kimberley Strassel ha ricostruito la storia, l'obiettivo erano quello di intrappolarlo, provando a farlo cadere in contraddizione sui contenuti della telefonata. Il direttore di allora, James Comey, si sarebbe assicurato che all'interrogatorio non fossero presenti gli avvocati.
Gli abusi, secondo il Wsj, sarebbero continuati dopo, quando i legali del procuratore speciale, Robert Mueller, avrebbero minacciato l'ex generale di perseguire lui e il figlio. A quel punto Flynn avrebbe deciso di dichiararsi colpevole di aver mentito all'Fbi. Ma quanto era stata un'ammissione spontanea o indotta?
Trump ha sempre difeso Flynn, attaccando la fedeltà dell'Intelligence americana. Adesso, tra i documenti emersi, affiora uno scambio di email tra agenti. In uno, del 24 gennaio 2017, un investigatore scrive: "Qual è il nostro obiettivo? Verità/Ammissione o spingerlo a mentire, in modo da indagarlo o cacciarlo?".
Su questo dubbio chiave indagherà il procuratore federale per il Connecticut, John Durham, esperto di inchieste su Fbi e Cia, e collaboratore del procuratore generale, William Barr, l'uomo che, chiedendo la desecretazione dei documenti, ha riaperto un caso che sembrava chiuso.