"Que la pandemia no sea un pretexto para el autoritarismo". Che la pandemia non sia un pretesto per l'autoritarismo: è questo il titolo del 'Manifesto', primo firmatario il premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa, pubblicato sul sito della sua Fundación Internacional para la Libertad (FIL). Il documento reca circa 150 illustri adesioni di personaggi politici e di intellettuali ispanofoni (ma anche di alcuni italiani), provenienti da ventitré Paesi.
La premessa all'appello promosso dallo scrittore peruviano sgombra gli equivoci circa la tragedia sanitaria cui fa fronte il mondo intero: "Noi sottoscritti - si legge - condividiamo la preoccupazione per la pandemia di Covid-19 che ha provocato una grande quantità di contagi e di morte in tutto il mondo, e facciamo giungere la nostra solidarietà alle famiglie colpite dai lutti".
"Mentre gli operatori della sanità pubblica e privata combattono valorosamente contro il coronavirus, molti governi dispongono misure che restringono indefinitamente le libertà e i diritti fondamentali", si afferma nel 'Manifesto'. "Invece di alcune ragionevoli limitazioni alla libertà, in diversi Paesi prevale un confinamento con minime eccezioni, l'impossibilità di lavorare e produrre e la manipolazione delle informazioni", prosegue il documento, fotografando una situazione in cui molti - nel mondo - potranno riconoscere la propria.
Così prosegue il 'Manifesto' della Fondazione, costituita nel 2002 dal Nobel peruviano per difendere e promuovere i principi della democrazia e dello Stato di diritto: "Alcuni governi hanno individuato un'occasione per arrogarsi un potere smisurato. Hanno sospeso lo Stato di diritto e addirittura la democrazia rappresentativa e il sistema giudiziario". Insomma: parlamenti che con il pretesto del contagio da coronavirus non si riuniscono o si riuniscono "a ranghi ridotti", e tribunali civili e penali serrati.
"Nelle dittature del Venezuela, di Cuba e del Nicaragua la pandemia serve di pretesto per accrescere la persecuzione politica e l'oppressione. In Spagna e in Argentina leader con un marcato pregiudizio ideologico pretendono di utilizzare le difficili circostanze per attribuirsi prerogative politiche e economiche che in un'altra situazione la cittadinanza respingerebbe fermamente. In Messico esplode la pressione contro l'impresa privata e si utilizza il 'Gruppo di Puebla' (think tank di indirizzo progressista latinoamericano; ndr) per attaccare i governi di diverso orientamento".
"Su entrambe le sponde dell'Atlantico - si legge ancora nel documento - risorgono lo statalismo, l'interventismo e il populismo con un impeto che fa pensare a un cambio di modello lontano dalla democrazia liberale e dall'economia di mercato".
"Vogliamo esprimere con energia che questa crisi non deve essere fronteggiata sacrificando diritti e libertà che è costato caro conseguire. Respingiamo il falso dilemma che queste circostanze obbligano a scegliere tra l'autoritarismo e l'insicurezza, tra l'Orco Filantropico e la morte".
Tra i firmatari del 'Manifesto' numerosi ex capi di Stato e l'ex primo ministro spagnolo José María Aznar. Vi figurano l'ex presidente dell'Argentina, Mauricio Macri; del Messico, Ernesto Zedillo; della Colombia, Álvaro Uribe Vélez; dell'Uruguay, Luis Alberto Lacalle e Julio María Sanguinetti; di El Salvador, Alfredo Cristiani; del Paraguay, Federico Franco. Numerosi anche i politici, gli imprenditori, gli economisti e gli intellettuali (tra cui il filosofo spagnolo Fernando Savater e lo scrittore Félix de Azúa). Fra gli italiani, il politologo Angelo Panebianco, l'imprenditore Franco Debenedetti, l'artista Massimo Mazzone e Alberto Mingardi dell'Istituto Bruno Leoni.