La tensione per il ritorno dell’epidemia di coronavirus in Cina colpisce i cittadini africani di Guangzhou, nel sud-est del Paese, che hanno lamentato episodi di discriminazione e razzismo nei loro confronti da parte delle autorità cinesi, a partire dall’inizio di aprile.
In molti hanno dichiarato di essere stati costretti a sottoporsi al test dell’acido nucleico per rilevare l’eventuale presenza del coronavirus e di essere stati sottoposti a un periodo di 14 giorni di quarantena forzata, nonostante non avessero lasciato la città negli ultimi mesi.
Altri, interpellati dalla Cnn, hanno dichiarato di essersi ritrovati senza casa e di essere stati respinti dagli alberghi della città, dopo avere ricevuto notifica di sfratto dai padroni di casa, spesso con un preavviso di poche ore e nonostante avessero carte e pagamenti in regola. Diversi video diffusi sui social mostrano vessazioni da parte delle forze dell’ordine della città nei confronti dei neri. Lo stesso consolato statunitense a Guangzhou ha emesso un avviso chiedendo ai cittadini afro-americani di non recarsi nella città per il rischio di discriminazioni.
Le rassicurazioni delle autorità di Pechino
Non si tratta della prima volta che i cittadini africani di Guangzhou lamentano discriminazioni nei loro confronti, e già nel 2014, durante l’epidemia di Ebola si erano verificati episodi di tensione tra la comunità africana e le forze dell’ordine. Di fronte, però, ai recenti episodi di discriminazione, diversi Paesi africani hanno chiesto spiegazioni al governo cinese: Pechino ha sempre negato di avere messo in atto politiche discriminatorie, assicurando invece di “trattare allo stesso modo tutti gli stranieri in Cina”, come dichiarato dal portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, e accusando gli Stati Uniti di volere seminare discordia nelle relazioni tra Cina e Africa.
Le dichiarazioni ufficiali non sono, però, bastate a dissipare i sospetti di molti Paesi africani: l’assistente del Ministero degli Esteri di Pechino, Chen Xiaodong, ha dovuto ribadire, durante un incontro con venti rappresentanti diplomatici, che non sono in corso discriminazioni contro gli africani a Guangzhou, promettendo, però, anche la rimozione delle restrizioni imposte a coloro che non sono risultati positivi al test per il coronavirus.
L'aumento dei contagi tra gli africani
L’aumento di casi di contagio tra la popolazione africana della città è andato aumentando dall’inizio di aprile, all’indomani della diffusione della notizia di un’aggressione ai danni di un’infermiera da parte di un nigeriano sottoposto a quarantena, che avrebbe innescato il giro di vite delle autorità locali contro gli africani. Dal 4 aprile scorso, secondo quanto dichiarato dal vice sindaco di Guangzhou, Chen Zhiying, sono 111 i casi di africani nella città a essere risultati positivi al test per il coronavirus, con 19 casi di contagio importati, su 4.553 africani sottoposti al test.
Già da giorni le autorità locali hanno anche deciso di innalzare da “basso” a “medio” il livello di rischio collegato al Covid-19 nelle aree di Yuexiu e Baiyun, dove si registra la più alta concentrazione di africani. Guangzhou è la città cinese dove si concentra la più grande comunità di africani in Cina, composta soprattutto da dipendenti di aziende attive nel commercio e da studenti, spesso con visti di breve durata. Difficile stabilire un numero preciso degli africani che vivono a Guangzhou, ma secondo un calcolo dell’agenzia Xinhua, nel 2017 sono stati circa 320mila gli africani che hanno soggiornato nel capoluogo del Guangdong, che si trova in una delle aree a più alta concentrazione industriale della Cina, il delta del Fiume delle Perle.