Di Luigi Camporota, il medico italiano che sta curando il premier inglese Boris Johnson, a Catanzaro, la sua città natale, si ricordano in molti. Nel capoluogo della Calabria, dove vivono ancora la madre e un fratello, lo pneumologo a cui è affidata la vita del primo ministro di Sua maestà britannica, affetto dal coronavirus, si è laureato per poi trasferirsi a Londra.
Nella cittadella universitaria, alla periferia della città che ha dato i natali anche al premio Nobel Renato Dulbecco, è ricordato come uno dei migliori studenti e nessuno si meraviglia del fatto che nella metropoli britannica sia apprezzato per i suoi studi clinici al punto da avere in cura l'uomo più potente del Regno Unito. Il "Times", ricorda Pino Nisticò, ex presidente della Regione Calabria oltre che farmacologo di fama internazionale, in passato docente a Catanzaro e profondo conoscitore degli ambienti londinesi, definisce Camporota "un’eccellenza nel campo della terapia intensiva e della cura delle malattie respiratorie".
Nisticò dirigeva la scuola di specializzazione in malattie dell'apparato respiratorio che formò Camporota. Terminati gli studi a Catanzaro, nel 1995, il giovane medico calabrese fu inviato oltre Manica da uno dei suoi docenti, il professore Girolamo Pelaia, altro catanzarese considerato fra più grandi specialisti di malattie respiratorie, per un dottorato all’università di Southampton. Ora Camporota lavora nella comunità scientifica inglese al Dipartimento di terapia intensiva per adulti del Guy’s-St Thomas Institute di Londra.
La "scuola catanzarese"
"La cosiddetta 'scuola catanzarese' di Medicina - dice con orgoglio Nisticò, amico e collaboratore di Rita Levi Montalcini - ha espresso grandi genialità e scienziati che si sono fatti notare in ogni parte del mondo". Per citarne alcuni, l’attuale rettore dell’Università catanzarese, Giovambattista De Sarro, che ha lavorato all’Institute of Psychiatry di Londra, ed Enzo Libri, direttore della farmacologia clinica dell’Imperial College della stessa città, calabrese di Lamezia Terme (Catanzaro), nonché il reggino Enzo Mollace che ha lavorato a sua volta con un Nobel, John Vane, e con il farmacologo Salvador Moncada che scoprì la prostaciclina e il nitrossido, "la molecola della vita".
E ancora Giuseppe Rosano, medico di Vibo Valentia, primario di cardiologia al St. George’s Medical School e Arturo Pujia, direttore della cattedra di medicina interna dell’Università di Catanzaro. C'è dunque una linea consolidata che lega la città capoluogo della Calabria alla capitale britannica. "Tutti questi scienziati - racconta Nisticò - come Dulbecco, hanno insegnato come professori a contratto presso la facoltà di Medicina di Catanzaro, contribuendo alla formazione degli allievi della scuola di farmacologia".
Il ricordo del relatore: "Uno dei migliori studenti in assoluto"
Era uno studente brillante, Luigi Camporota, come ricorda il prof Pelaia, che fu suo relatore nella tesi di laurea sull'asma allergico: "Lo ricordo - dice all'AGI - come uno dei migliori studenti in assoluto, una persona gentile e garbata. Quando lui frequentava il nostro ateneo - aggiunge - io ero un giovane collaboratore del professore Serafino Marsico. Appena tornai dagli Usa, fui assegnato a Camparota come tutor per la tesi di laurea. Durante la specializzazione mi confidò la sua intenzione di andare all'estero. Avevo un amico all'università di Southampton, il prof. Ratko Djukanovic, al quale lo segnalai. Da Southampton si trasferì successivamente a Londra, dove si è affermato".
Oggi, dice con orgoglio Pelaia, "il dottor Camporota è uno dei massimi esperti mondiali di medicina interna respiratoria. Il suo lavoro riempie d'orgoglio la nostra università, la città di Catanzaro e la Calabria intera". Il filo che lega Catanzaro a Londra non si è mai interrotto. L'esperienza di Camporota in Inghilterra, insomma, non è opera del caso.
"È il frutto - spiega Pelaia - di una strategia didattico-scientifica grazie ai rapporti con le università inglesi a cui si dedica il nostro rettore, Giovambattista De Sarro". Altri studenti brillanti partiti da Catanzaro hanno raggiunto Camporota. "Persone come la professoressa Maria Rita Calaminici, docente di anatomia patologica in un importante ospedale universitario, o il professor Vincenzo Libri dell'Imperial College di Londra" dice Pelaia. "Medici brillanti che ho segnalato personalmente al dottor Camporota il quale li ha accolti con grande disponibilità e che - spiega ancora Pelaia - hanno trovato lavoro negli ospedali calabresi o in altre regioni, se non all'estero. Scienziati che speriamo un giorno di riavere in Calabria".
L'orgoglio del fratello e il ricordo del padre
Orgoglioso di Luigi Camporota è naturalmente il fratello Paolo. "Sa dell'improvvisa notorietà - dice - gli fa anche piacere come fa piacere a ciascuno di noi che siamo i suoi primi fans, ma, per mio fratello, Boris Johnson è un paziente come tanti e per lui quel che conta è il lavoro. Che avesse in cura il primo ministro britannico noi lo abbiamo saputo dai giornali". Il papà morì di edema polmonare quando il giovane Luigi, oggi cinquantenne, era ancora studente alla Facoltà di Medicina e forse, chissà, fu quella la molla che lo indusse a scegliere la specializzazione che lo ha fatto diventare un grande esperto di malattie delle vie respiratorie. Luigi, comunque, questo, non lo ha mai detto. "Perdemmo papà nel giro di mezz'ora, all'improvviso" ricorda Paolo. "Nella vita ci sono cose non dette - aggiunge - e non sapremo mai se mio fratello ha scelto quella strada per questo".
Sposato con una collega, Luigi Camporota non ha figli. Aveva annunciato una visita nella sua città per le vacanze di Pasqua, ma il virus ha cancellato i suoi programmi. All'Università di Catanzaro lo videro qualche anno addietro in occasione di un convegno scientifico, ma di questi tempi contattarlo non è facile. "È immerso nel lavoro - dice il fratello - e quando è in terapia intensiva non risponde al telefono. Durante il giorno gli mando degli sms, mi risponde a tarda sera. Del suo paziente non parla, in genere non parliamo di lavoro. In questo periodo gli chiediamo qualcosa a proposito del coronavirus, ma solo perché c'è in atto un'emergenza, in genere si parla di vicende familiari. Non lo vediamo da due anni e mezzo. Prima - aggiunge - riusciva a raggiungerci con una certa frequenza a Catanzaro, poi, visti gli impegni che ha, fra un convegno e l'altro, siamo stati noi ad andare da lui".
Al fratello non aveva detto che il "Times" si era occupato di lui. "Sono stato io a vedere l'articolo su internet - racconta il fratello - è contento, ma ripete che questo non cambia nulla, è lo stesso uomo di prima, solo che ora l'opinione pubblica sa di lui, delle cose che fa ogni giorno". Il ritratto del medico catanzarese diventato improvvisamente famoso anche fuori dagli ambienti accademici è quello di un uomo che ha sempre studiato per passione. "Non lo faceva per la scuola o per ambizione, ma solo per il piacere di imparare, spinto dalla curiosità come un bambino" racconta ancora Paolo. Da studente universitario non si accontentava dell'attività didattica, né dei libri di testo ufficiali: "Era sempre alla ricerca di novità, ha imparato bene l'inglese per poter studiare su pubblicazioni non ancora uscite in Italia".
La famiglia è orgogliosa di lui, ma in questo momento così difficile a causa della pandemia il timore per la salute di Luigi è sempre dietro l'angolo. "Gli raccomandiamo di stare attento - spiega Paolo - perché ogni giorno leggiamo di operatori sanitari contagiati nei reparti. Gli raccomandiamo molta attenzione, viviamo nell'angoscia". Gli pesa la lontananza dall'Italia. "A Luigi manchiamo noi, ma la sua è stata una scelta - continua Paolo - di cui non si è pentito. Non posso dire che sia stato costretto a lasciare il suo paese, ma sicuramente averlo fatto gli ha aperto orizzonti che qui non avrebbe avuto".